Quanto è grande l’Universo? La grandezza dell’universo svelata

25 Ago 2015

From the OSR Blog

La questione è tra le più delicate e dibattute da sempre, non si conosce, infatti, se l'universo sia nel suo complesso finito o infinito, anche se la maggior parte dei teorici al momento ipotizza che in assenza di un confine spaziale potrebbe comunque essere spazialmente finito.


Ciò può essere compreso mediante un'analogia bidimensionale: la superficie della Terra non ha confini ma ha comunque un'area finita e misurabile. Se invece parlassimo del cosiddetto universo osservabile, è possibile evincere che esso sia finito, ma si pensa sia comunque molto più esteso di quanto farebbe pensare il malinteso valore di 13,7 miliardi di anni luce, che indica soltanto l'età dell'universo e non il suo raggio.

La velocità della luce nello spazio

La domanda di quanto sia grande l’universo è molto antica e sorge spontanea quando si alza lo sguardo verso il cielo stellato. Ci potremmo chiedere più nel dettaglio, quale sia la distribuzione della materia nello spazio e quale sia l’estensione dello stesso. Fino agli inizi del XX secolo molti astronomi ritenevano che la Via Lattea fosse l’unico sistema di stelle in uno spazio vuoto di un’estensione infinita ed insondabile. Oggi invece sappiamo che la Via Lattea non è che una delle centinaia di miliardi di galassie che popolano l’universo.

Ma quanto lontano possiamo osservare? Innanzi tutto sappiamo a proposito, che la velocità della luce non è infinita: nel vuoto vale 299.792,458 km/s. Questo significa che quanto più una stella è lontana tanto più la vediamo indietro nel tempo. Ad esempio, vediamo Alfa Centauri com’era poco più di quattro anni fa, Vega com’era 26 anni fa e Deneb almeno di 1600 anni addietro. Il cielo stellato appare dunque come un caleidoscopio di tempi diversi.

Questi tempi espressi in anni coincidono per definizione con le distanze rispettive delle stelle espresse in anni-luce: infatti l’anno luce è la distanza che la luce percorre in un anno e vale circa 9500 miliardi di chilometri. Dire che vediamo la stella Vega com’era 26 anni fa vuol dire che la stella si trova a 26 anni luce di distanza.

Lo stesso discorso vale per le galassie vicine, quelle che appartengono al nostro gruppo locale, e che sono legate tra loro dalla mutua attrazione gravitazionale. La galassia di Andromeda è ad esempio l’oggetto più lontano visibile ad occhio nudo ed è situata a poco meno di due milioni e mezzo di anni luce, ed è dunque vista com’era due milioni e mezzo di anni fa. Per quanto riguarda invece le galassie più lontane, il discorso si complica, non vale più l’equivalenza di “anni indietro nel tempo”, ossia distanza anni luce. Infatti, da quando il nostro universo è nato, 13,7 miliardi di anni fa (il Big Bang), lo spazio si sta espandendo; le galassie che non appartengono più agli stessi ammassi o gruppi, si allontanano le une dalle altre e la velocità con cui si allontanano è proporzionabile alla loro distanza.

La luce partita da una galassia si trova a viaggiare in uno spazio che si espande: quando finalmente giunge a noi la distanza attuale della galassia da cui è partita è molto maggiore di quella iniziale. Ad esempio, galassie che vediamo com’erano 10 miliardi di anni fa, si trovano attualmente ad una distanza non di 10 ma di 16 miliardi di anni-luce.

Considerare il fatto che la velocità della luce sia finita e che l’universo stesso abbia un’età finita ha una conseguenza molto importante, ossia, non possiamo osservare arbitrariamente lontano. Possiamo osservare soltanto quegli oggetti la cui distanza ha potuto essere percorsa dalla luce entro il tempo trascorso da quando l’universo è nato, ovvero un arco di tempo compreso in meno di 13,7 miliardi di anni; invece la luce emessa da corpi più lontani non ha ancora avuto il tempo di raggiungerci.

Per questo motivo l’universo visibile rimane limitato ma non è da confondere con l’universo nel suo complesso. Infatti, se è vero che nei primi istanti di vita, l’universo ha subito un’accelerazione enorme e lo spazio si è dilatato a dismisura, allora l’universo, se non infinito, deve essere comunque enormemente più grande di quel che attualmente appare.

Teoria della relatività e distribuzione di massa ed energia nello spazio

É bene ribadire che la dimensione dell’universo osservabile non dipende dalle capacità tecnologiche impiegate, ma è da intendere come un limite fisico indipendente da qualsiasi progresso in campo osservativo. Notiamo che l’estensione dell’universo visibile varia col tempo e se l’espansione stesse rallentando, col passare del tempo riceveremmo via via la luce di oggetti sempre più lontani, quindi l’universo visibile aumenterebbe.

Tuttavia, oggi sappiamo che l’espansione sta aumentando e, se così sarà in futuro, allora la luce degli oggetti più lontani non riuscirà a raggiungerci. Col passare del tempo scompariranno dalla nostra vista le galassie più lontane, poi via via quelle sempre più vicine, finchè in un lontano futuro saranno visibili solo le galassie distanti da noi qualche milione di anni-luce.

Ma se l’universo che possiamo osservare è limitato, allora come possiamo sapere quanto è davvero grande l’universo? Per arrivare a questa risposta dovremmo affidarci alla teoria, ma soprattutto faticare su certi concetti non proprio intuitivi.

É risaputo che si possono concepire degli spazi nei quali le normali proprietà della geometria euclidea non valgono più. Ad esempio, la somma degli angoli interni di un triangolo è di 180 gradi, ma solo se questo triangolo è disegnato su un piano, mentre se lo stesso triangolo fosse disegnato sulla superficie di una sfera la somma degli angoli interni varrebbe più di 180 gradi. Questi spazi sono rimasti però nel regno della matematica, finchè con la teoria della relatività di Einstein la geometria dello spazio si è legata alla distribuzione della materia e dell’energia. In particolare, se supponiamo che nell’universo materia ed energia siano distribuite in maniera uniforme, la geometria dello spazio dipende unicamente dal valore della densità di materia ed energia.

Se la densità supera un valore critico, la gravità “chiude” lo spazio che ha un volume finito ma senza limiti. Non potendo visualizzare uno spazio curvo a tre dimensioni, dobbiamo ricorrere all’analogia bidimensionale di una sfera che è finita ma illimitata: ossia, in un universo chiuso, partendo dalla Terra e viaggiando sempre nella stessa direzione ci ritroveremmo alla fine sempre sulla Terra.

Se la densità ha invece esattamente il valore critico, allora lo spazio è infinito e valgono le regole della geometria euclidea: il suo analogo bidimensionale è la superficie di un piano. Se infine la densità è inferiore al valore critico, lo spazio è infinito ma non valgono più le regole della geometria euclidea e la sua rappresentazione in due dimensioni sarebbe un pò più complicata.

Gli astronomi per decenni hanno tentato di fare l’inventario della quantità di energia e materia presente nell’universo per conoscere la geometria di questo spazio. Però quello che era un compito difficile si è rivelato man mano sempre più complicato ed allo stesso tempo interessante. Per questo motivo, non basta contare le stelle e le galassie, perchè la materia è presente anche sotto forma di gas e non emette luce nel visibile ma ad altre frequenze, spesso osservabili solo dallo spazio. Gli astronomi hanno inoltre scoperto che la materia visibile rappresenta solo una parte di quella presente nell’universo: ne esiste una nuova, la materia oscura, che non si manifesta in alcun modo se non attraverso gli effetti gravitazionali. Da una decina di anni si è anche scoperto che su tutto domina una misteriosa forma di energia repulsiva, che è la causa dell’attuale accelerazione dell’espansione.

L’universo come un videogame

Inoltre, la relatività generale ci permette di stabilire la curvatura dell’universo, ma non ci dice nulla sulla sua geometria globale, ovvero quella che i matematici chiamano la topologia dello spazio.

Di che si tratta? Molti lettori conosceranno il videogioco “Asteroids” nel quale il giocatore guida una piccola astronave che deve evitare o distruggere degli asteroidi che arrivano via via più numerosi e veloci. I movimenti avvengono sullo spazio bidimensionale dello schermo ed il giocatore vede l’astronave dall’esterno. La particolarità di questo videogame è che i bordi dello schermo non sono invalicabili: sia l’astronave che gli asteroidi, superando il bordo superiore, ricompaiono dal bordo inferiore o superando il bordo sinistro ricompaiono su quello destro. Ma se vivessimo nell’universo di “Asteroids”, ovvero fossimo delle creature bidimensionali nello schermo, non vedremmo nessun bordo. Avremmo invece l’illusione di uno spazio che si estende all’infinito intorno a noi e osservando con attenzione sufficientemente lontano vedremmo immagini ripetute del nostro mondo, con gli stessi oggetti oltre a noi stessi, ripetuti a intervalli regolari.

L’universo di “Asteroids” ha una geometria piana e non curva, eppure non ha le proprietà normali di un piano che si estende all’infinito; è solo un esempio di spazio “multiconnesso” ovvero “finito”. Ma può lo spazio in cui viviamo avere proprietà analoghe e se sì, come si può stabilire che tipo di spazio è?

Il metodo più semplice sarebbe quello di guardare sempre più lontano e cercare di scoprire se ad intervalli regolari si vedono immagini duplicate delle stesse galassie, ma la cosa è alquanto impraticabile, anche se sono stati comunque applicati metodi più sofisticati (detti di “cristallografia cosmica”) nell’analisi della distribuzione delle galassie e degli ammassi, con risultati negativi. Tuttavia, la possibile indicazione che lo spazio possa essere multiconnesso è venuta dalla radiazione cosmica di fondo che presenta un’anomalia: le fluttuazioni di temperatura sulle scale più grandi sono significativamente meno forti di quanto previsto dalla teoria.

L’universo: uno spazio multiconnesso

Nel 2003, in una lettera pubblicata sulla rivista “Nature”, un gruppo di studiosi guidato dall’astrofisico francese Jean-Pierre Luminet e dal matematico americano Jeffrey Weeks ha cercato di dimostrare che questa anomalia potrebbe essere la conseguenza del fatto che il volume dell’universo è finito e troppo piccolo per poter contenere le fluttuazioni a grande scala, ed è riuscito a riprodurre le osservazioni supponendo che l’universo sia fatto come uno spazio dodecaedrico.

Ma com’è fatto questo spazio? La forma di un dodecaedrico presenta dodici facce pentagonali, e quando si attraversa una di queste facce si rientra in quella opposta, come avviene nel già citato videogame di Asteroids. In realtà vi è una piccola complicazione, si tratta infatti di un dodecaedrico non euclideo ma sferico; le immagini adiacenti del dodecaedro sferico riempiono completamente una ipersfera (una sfera nelle quattro dimensioni). È in effetti una cosa un pò complicata e non visualizzabile in tre dimensioni, ma per fortuna si può ricorrere alla solita analogia a due dimensioni. Abbiamo allora una superficie sferica ricoperta da pentagoni: da qui la metafora del pallone di calcio, usatissima dai media per presentare la notizia.

La possibilità di un universo multiconnesso può piacere o meno, però è davvero affascinante; il problema è che si basa su un’anomalia che può avere spiegazioni alternative più semplici. Vi è in realtà un altro metodo che permetterebbe di avere la prova che il nostro spazio è multiconnesso: infatti, a seconda della forma dello spazio, dovremmo poter osservare sulla mappa di temperatura della radiazione di fondo delle tracce peculiari che riflettono la periodicità dello spazio, sotto forma di coppie di cerchi. L’analisi risulta delicata e controversa, per il momento, comunque, si può affermare che questi cerchi non sono stati trovati. Dunque se lo spazio avesse una geometria multiconnessa, le sue dimensioni sarebbero talmente grandi da non poter essere rivelate.

Ma la domanda è sempre la stessa, ossia, quanto è realmente grande l’universo? Se ci limitiamo all’universo osservabile, allora la risposta è quasi banale, dato che la stessa Relatività generale ci dice che tenendo conto dell’espansione e della velocità con cui si propaga la luce, la distanza dell’orizzonte cosmologico è di circa 46,5 miliardi di anni luce, tanta è infatti la distanza che la luce ha percorso in un tempo pari all’età dell’universo.

In altre parole, l’universo a cui abbiamo o teoricamente avremo accesso in futuro ha un diametro di circa 93 miliardi di anni luce: un valore inconcepibile per mancanza di termini di paragone. Non possiamo però sapere quali sono le dimensioni dell’universo reale, che include tutto ciò che non osserviamo e forse mai osserveremo. Quello che si può fare è stimare che il diametro minimo dell’universo reale debba valere almeno 78 miliardi di anni-luce, ovviamente un valore sottodimensionato dato che risulta ancora più piccolo di quello dell’universo osservabile.

Ed è comunque probabile che l’universo reale sia enormemente più grande dei valori che abbiamo menzionato, tanto che anche se lo spazio fosse davvero multiconnesso, le sue immagini replicate si troverebbero probabilmente molto al di là del limite dell’universo visibile. Possiamo dunque concludere che lo spazio o è infinito o, a tutti i fini pratici, può essere considerato infinito.

E se poi non fosse infinito, ma solo immensamente grande, non si può escludere che vi siano altri universi, ma quella dei multiuniversi è ovviamente un’altra storia.