Fontane di fuoco lunari: ecco i risultati delle analisi di NanoSIMS

27 Ott 2015 - Tag:

From the OSR Blog

Alle missioni Apollo 15 e Apollo 17 dobbiamo davvero tanto. Non bastavano infatti le grandi scoperte, tra le quali, ad esempio, solo per citarne una delle più recenti, quella di “nuvole” sul nostro satellite, che ora, grazie all’analisi di tracce prelevate proprio durante le missioni sulla Luna, ci troviamo dinanzi a novità straordinarie in grado di dare risposte circa le composizioni del terreno lunare.


Tali tracce, risalenti ad oltre tre miliardi di anni fa, sono state sottoposte allo scrupoloso vaglio dei ricercatori i quali, avvalendosi della NanoSIMS, sono stati in grado di rivelare la presenza di carbonio. Questa scoperta ha dello straordinario, poiché da essa potrebbe dedursi la possibilità che sul nostro caro satellite possano essersi verificate eruzioni con intensi zampilli, delle vere e proprie “fontane di fuoco lunari”.

Fontane di fuoco lunari: tutta colpa del gas volatile

I piccoli granelli di vetro vulcanico reperiti sulla Luna durante le missioni Apollo parlano chiaro: sembra proprio che in passato sulla superficie della Luna abbiano avuto luogo delle eruzioni vulcaniche, anche abbastanza notevoli, con alti zampilli di lava. Un team di straordinari scienziati della Carnegie Institution for Science e della Brown University avrebbero trovato la causa che ha dato origine a queste eruzioni: il gas volatile.

Le fontane di fuoco rappresentano dei fenomeni spesso ricorrenti, anche sul nostro pianeta: pensiamo a quelle che spesso danno manifestazione di sé nella zona delle Hawaii, che richiedono, appunto, per generare l’innesco, la presenza di composti volatili i quali, mescolati alla lava in eruzione, si trasformerebbero in gas.

L’espansione del gas in questione darebbe origine ad un movimento molto intenso che andrebbe a spingere la lava in fuoriuscita.

Tutte le questioni inerenti il possibile scatenarsi sulla Luna di fenomeni eruttivi erano, prima delle missioni Apollo 15 e Apollo 17, destinate a rimanere inevase, perché non si era riusciti in alcun modo a scoprire quale gas avesse potuto produrre questo tipo di eruzioni sulla Luna, atteso che il gas in questione era oramai completamente esaurito.

Come ha avuto luogo l’analisi

I famosi frammenti recuperati dalla Luna sono stati sottoposti ad un esame particolarmente approfondito: la spettroscopia di massa di ioni secondari.

Trattasi di una tecnica peculiare che consiste nel bombardare un frammento di terra con un fascio di ioni allo scopo di analizzarne le sostanze ivi presenti.

Le inclusioni di magma disciolti nei frammenti, nello specifico nei cristalli di olivina dei campioni, hanno rivelato concentrazioni di carbonio addirittura tra le 44 e le 64 parti per milione.

Secondo gli scienziati sarebbe stato proprio il carbonio, in combinazione con l’ossigeno, a formare il monossido di carbonio, innescando per primo il processo.

Quali conclusioni si possono trarre dalla ricerca

La ricerca ha dello straordinario, già il solo far riferimento a fontane di fuoco lunari lascia tutti, studiosi compresi, affascinati.

Per molti, troppi anni, si è sempre creduto che nella Luna fossero assolutamente assenti sostanze volatili quali l’idrogeno ed il carbonio. Complice il rilevamento di campioni lunari prima e l’avvenuta scoperta della presenza di acqua nei granelli vulcanici lunari dopo, nonché la scoperta di zolfo, cloro e fluoro, è emerso che la Luna non è stata mai completamente priva di sostanze volatili come invece si pensava, appunto, prima delle missioni Apollo 15 e Apollo 17 sulla Luna.

In effetti, a ben vedere, prima di allora nessuna di queste sostanze aveva fatto mai emergere elementi di compatibilità con le fontane di fuoco.

Oggi, invece, possiamo arrivare a concludere, così come suggerito dalla lettura delle digressioni contenute nella rivista Nature Geoscience, che appunto vi siano state sulla Luna non solo fontane di fuoco, ma anche lava, contenente notevoli quantità di carbonio. Nella sua attività di risalita dalle profondità lunari, il carbonio si sarebbe unito all’ossigeno, generando in tal modo notevoli quantità di monossido di carbonio, il principale responsabile appunto della formazione di fontane di fuoco lunari. 

Origini comuni con i serbatoi geologici della Terra

Dalle ricerche testé descritte emergerebbe dunque che i serbatoi geologici di sostanze volatili della Terra e della Luna abbiano un’origine comune. Cosa ci autorizza a trarre questa conclusione è il fatto che la composizione e le quantità di carbonio emerse nelle inclusioni vetrose, sottoposte all’analisi successive alle missioni Apollo 15 e Apollo 17, siano molto simili a quelle che caratterizzano i basalti ceruttati presenti nelle profondità marine e che percorrono le dorsali oceaniche della Terra.

Il carbonio, reperito nei frammenti lunari, è essenziale per la vita di ogni pianeta e, più in generale, per l’attivazione del ciclo biogeochimico, il ciclo appunto attraverso il quale il carbonio viene scambiato tra la geosfera, l’idrosfera e la biosfera: questo è esattamente quello che accade sulla Terra.

Tutte queste “porzioni” di Terra coinvolte in questo ciclo altro non sono che riserve di carbonio, anche note come carbon sinks.

Il ciclo del carbonio è, infatti, solitamente inteso come interscambio dinamico, mente a contenere maggiore riserva di carbonio sarebbe proprio la crosta terrestre.

Le dinamiche di interscambio sono legate a processi squisitamente chimici, fisici, ma anche geologici e biologici. Fino a qualche tempo fa erano state portate avanti delle tesi, relegate sul piano di mere intuizioni, in base alle quali anche altri corpi celesti si supponeva potessero avere un ciclo del carbonio, ma esistevano, appunto, pochissime informazioni al riguardo.

La scoperta delle grandi fontane di fuoco lunari e, nello specifico, dei carbonio intrappolato all’interno dei relativi frammenti, è stata in grado di fornire importanti informazioni sui processi alla base della vita e della formazione della Luna.

Si tratta degli stessi gas atmosferici che, nella nostra Terra, sono mescolati nel mantello, ma anche dentro l’interno della stessa e che, appunto, nel nostro pianeta, seguono il processo chiamato “subduzione”, ossia quel processo che vede le placche tettoniche scontrarsi nelle zone di subduzione.

I risultati di tale studio condotto in seno ai frammenti lunari è un nuovo attestato di speranza e di fiducia nei confronti degli strumenti oggi a nostra disposizione, di apprezzabile e lodevole valore, una ulteriore dimostrazione di come una semplice analisi dei componenti in essi presenti possa rivelarsi strategica al fine di risalire alla storia della vita di questo straordinario nostro satellite.