Raccolta di Fiabe e Favole di Natale da raccontare ai bambini
Ecco alcune fiabe e racconti di Natale da raccontare ai tuoi bambini: 1.La leggenda del mercante e del vischio; 2. I due bambini di Nazaret; 3. L'orfanella e le stelle d'oro; 4. E' questo il Natale? 5. Betlemme; 6. Lo sciopero del Natale; 7. L'agrifoglio; 8. Alla vigilia di Natale; 9. A Natale; 10. Il bambino scalzo
Fiabe e favole di Natale da raccontare ai bimbi
- La leggenda del mercante e del vischio
- I due bambini di Nazaret
- L’orfanella e le stelle d’oro
- E’ questo il Natale?
- Betlemme
- Lo sciopero del Natale
- L’agrifoglio
- Alla vigilia di Natale
- A Natale
- Il bambino scalzo
1. Fiaba de “La leggenda del mercante e del vischio”
Quella sera, il vecchio mercante non riusciva a prendere sonno. Gli affari di giornata erano andati più che bene, ed un soldo dietro l’altro era riuscito a fare un bel gruzzoletto.
Si alzò dal letto, pensieroso e cominciò a contare le montete. Chissà quante mani avevano stretto quelle monete, pensava fra sé, non curante della fatica e del lavoro che vi erano dietro a tutto quel luccichio.
Ma il mercante non riusciva a prendere sonno. Allora decise di uscire di casa e vide tutta la gente del paese dirigersi verso lo stesso luogo. C’era qualcosa in fermento e la voce era corsa di bocca in bocca. Sentì che qualcuno gli rivolgeva la parola invitandolo ad unirsi a loro, voci indistinte nella massa che popolava le strade del borgo.
Lo chiamavano “fratello”, ma lui sapeva di non aver mai avuto alcun fratello, tuttalpiù nella sua mente da commerciante, era abituato a sentir parlare di clienti, compratori e venditori. Questo era il suo piccolo mondo.
Tuttavia, la curiosità lo sovrastava e decise di unirsi ad un gruppo di giovani ed anziani. Continuavano a rivolgersi a lui come “fratello”, ma quella parola in qualche modo lo disturbava. Sapeva bene che per campare, qualche inganno al cliente andava fatto e non si dispiaceva per questo. Cercava sempre di vendere più caro del dovuto pur di guadagnare qualche moneta in più; approfittava delle necessità dei poveri e non conosceva la parola generosità.
Eppure, non curanti della sua furbizia da mercante, la gente continuava ad accoglierlo, a volerli bene, a coinvolgerlo in quella marcia di allegria, tipica delle feste in paese.
Sicché giunsero tutti alla grotta di Betlemme. La gente cominciava ad entrare, e tutti uscivano con qualcosa tra le mani, anche i più poveri, mentre lui che era ricco, rimaneva a mani vuote. Si decise, dopo un attimo di turbamento, ad entrare nella grotta, si inginocchiò e pregò il Signore confessando tutte le sue malefatte, tra lacrime e pentimenti.
Scosso e provato, uscì dalla grotta e, poggiato sul tronco di un albero, continuò a piangere a dirotto. Ma sentì che qualcosa in lui stava cambiando. La mattina seguente, nelle prime ore del giorno, notò che le sue lacrime splendevano come perle in mezzo a due fresche foglioline. Nasceva un piccolo vischio.
2. Fiaba de “I due bambini di Nazaret”
Un bel giorno Gesù, seduto sugli scalini di casa, era intento a giocare con un pezzo di argilla, regalo del vasaio di fronte, per dar forma a degli uccellini di creta.
Di fronte la sua casa, sedeva un altro bambino, di nome Giuda, col viso pieno di graffi e le ginocchia sbucciate per via delle risse e dei continui litigi con altri ragazzi di strada. Anche lui era impegnato a lavorare un piccolo pezzo di argilla.
Gli uccellini, usciti dalle loro mani ingegniose, venivano posizionati a cerchio davanti ad entrambi. Giuda, geloso che il compagno facesse degli uccelli più belli e grandi di lui, restò di stucco quando si accorse che Gesù dipingeva i suoi animali di creta coi raggi di sole colti dalle pozze di acqua.
Anche lui allora volle provare l’incredibile gesto, e provò più volte a cogliere dalle pozze d’acqua quel bagliore misterioso, senza però riuscirvi. Al ché, Gesù, dispiaciuto di quello che accadeva, si offrì di colorare gli uccellini a Giuda, ma quest’ultimo rifiutò orgogliosamente il suo aiuto.
Lo stesso Giuda, preso dalla rabbia, sferrò un violento calcio ad i suoi uccelli di creta distruggendoli completamente. Poi, quando ebbe finito di sfasciare tutto il suo lavoro, si avvicinò a quelli di Gesù distruggendone uno.
Gesù, dopo aver chiesto spiegazioni a Giuda per il suo gesto, gli ricordò che quelli che aveva davanti a sé, non erano semplici creature di creta, ma esseri viventi che potevano persino cantare. Giuda, cominciò a deridere il suo compagno continuando la sua piccola opera di distruzione.
Gesù, che si sentiva indifeso e non in grado di far fronte al più grande, grosso e robusto Giuda, non sapeva come fermare la furia del suo compagno. Non riusciva a spiegarsi, inoltre, come gli uccelli potessero rimanere impassibili di fronte a tanta violenza ingiustificata.
Rimanevano ancora intatti solo tre uccellini, e mentre Gesù batté le mani nel tentativo di destarli, incredibilmente i tre volatili cominciarono a sbattere le ali ed alzatisi in volo trovarono riparo sull’orlo del primo tetto, lasciando il piccolo Giuda ancora una volta incredulo.
3. Fiaba de “L’orfanella e le stelle d’oro”
La piccola orfana era sola per strada, abbandonata da tutti. L’avevano lasciata in mezzo ad una strada invitandola a chiedere aiuto al cielo.
E lei, speranzosa, volgeva più volte lo sguardo all’insù e guardava le stelle brillare, pregando per il loro soccorso. Molte persone, vedendola per strada, la aiutavano come potevano, ma la vita della piccola bambina rimaneva difficile e priva di affetti.
Un giorno, mentre mangiava un pezzo di pane che una donna generosa le aveva donato, incontrò un povero vecchio affamato. “Ho tanta fame”, disse il vecchio. La piccola orfana, dal cuore d’oro, volle donargli il proprio tozzo di pane, “Prendete questo”, disse, “io ne troverò dell’ altro”. Il vecchio la benedì, augurandole una pioggia di stelle d’oro e proseguì il suo cammino.
Il giorno seguente, mentre la piccola si dirigeva dalla città alla campagna, vide per strada una fanciulla tutta infreddolita, che aveva solo una camicia per coprirsi. “Hai freddo?” le domandò l’orfana dal cuore generoso. “Si”, rispose la fanciulla, “ma non ho ché questa camicia per coprirmi”. “Prendi il mio vestito”, rispose la piccola orfana, “io non soffro tanto il freddo”, disse. La fanciulla con gli occhi pieni di gioia e gratitudine, la guardò e le rispose “Tu sei una stella scesa dal cielo, vorrei che tutte le stelle piene d’oro ti cadessero in grembo per proteggerti”. La piccola orfana si voltò e proseguì per il suo cammino, in direzione di una capanna dove pensava di passare la notte.
Intanto, il gelo scendeva sulla campagna e la piccola orfanella guardò le stelle del firmamento che brillavano nel cielo notturno, pensando alle benedizioni auguratele dal vecchio e dalla fanciulla. Adesso cominciava ad avere freddo anche lei, ma era serena nonostante tutto, perchè la capanna non era poi così lontana.
“Se le stelle piovessero oro dal cielo”, pensò fra sé, ” farei costruire tante belle case grandi per poter ospitare i bambini abbandonati ed i poveri; sfamerei gli affamati e comprerei tanti vestiti per chi ne avesse bisogno”. “Ed anch’io mi vestirei, perchè adesso ho tanto freddo” aggiunse.
Fu così che il miracolo avvenne. Il cielo si riempì di voci angeliche e si sentì il tintinnio dell’oro cadere. La piccola sistemò un piccolo telo per terra dopo essersi accorta che le stelle si staccavano dal cielo trasformandosi in monete d’oro. “Si! Si!”, esclamò gioiosa l’orfanella, “farò costruire tanti bei palazzi per i poveri e gli orfani e rimarrò al lato di chi soffre!”.
Dal cielo si levò un canto di voci angeliche che ripeteva “Benedetta! Benedetta!”.
4. Fiaba “E’ questo il Natale?”
Un giorno, nel paradiso degli animali, lo spirito dell’asinello chiese al bue: “Ti ricordi quando una notte fredda di tanti anni fa, io e te ci ritrovammo in una capanna dove c’era anche una mangiatoia?”
“Certo che mi ricordo”, rispose il bue, “e se ricordo bene, in quella capanna c’era anche un bambino appena nato”. “Esatto”, disse l’asinello, “dunque, sapresti dirmi esattamente quanti anni sono passati?” aggiunse.
“No”, disse il bue, “non ho affatto una buona memoria”. “Allora te lo dico io, sono passati duemila anni”, gli rispose l’asinello. “E lo sai chi era quel bambino vero?” continuò a domandargli.
“Non so risponderti nemmeno questa volta”, disse il bue, “però ricordo che si trattava di un bellissimo bambino”. Allora, l’asinello sussurrò qualcosa all’orecchio del bue e quest’ultimo rispose “Vorrai scherzare, spero, ma davvero?”
“Certo che è vero, del resto lo avevo capito fin dall’inizio”. “Io no” disse il bue, “comunque, avrei giurato che quel bambino nascondesse qualcosa di straordinario”.
“Già, devi sapere che da allora gli uomini di tutto il mondo organizzano una grande festa ogni anno, proprio per festeggiare l’anniversario della sua nascita. È un periodo di pace e serenità, dell’unione familiare e del benessere spirituale. Lo chiamano Natale, ed anche la gente più burbera, quando arriva questo momento, sembra vivere un periodo di felicità”.
“Anzi”, disse l’asino, “giacché ci siamo, perchè non andiamo a dare un’occhiata lì sotto?” domandò al bue. “Dove?” gli rispose il bue. “Ma come dove? Sulla terra no? Dovresti conoscerla quanto me, ci siamo già stati. Io quasi ogni anno vado a fare un giro laggiù, ho un lasciapassare speciale e lo potresti chiedere anche tu! Forza, andiamo a vedere cosa succede della vigilia”, fece l’asinello.
“E per il lasciapassare?” domandò preoccupato il bue. “Non preoccuparti, ho un mio parente che lavora all’ufficio passaporti, lo otterrai in un battibaleno”.
Fu così che il bue ottenne il lasciapassare, ed i due planarono sulla terra, in direzione di un lume, si trattava in realtà di una città.
Gli spiriti delle due bestie passavano tranquillamente in mezzo alla strada, senza ovviamente subire alcun danno e si godevano lo spettacolo della grande città. Negozi, vetrine illuminate, addobbi natalizi, gli abeti e le luminarie. Oltre alla tantissima gente che affollava i mercatini e le strade, presa dal ritmo frenetico degli ultimi acquisti.
Ad un certo punto, il bue impaurito da tutta quella folla, si girò verso l’asino e gli disse “Ma tu mi hai detto che mi portavi a vedere il Natale, non la guerra”. “Ma non vedi che sono tutti felici?”, rispose l’asino, “la gente di questi tempi per essere felice ha bisogno di questi ritmi frenetici, insomma, di rovinarsi i nervi” rispose.
Stanco di quella confusione, il bue approfittando della sua forma spiritica, volò verso la finestra di un decimo piano di un palazzo, e l’asinello lo seguì.
Videro una stanza elegantemente arredata ed una signora dal volto preoccupato seduta vicino ad un tavolo. Sulla sinistra del tavolo si trovava un mucchio di carte e cartonicini colorati, sulla parte destra, invece, dei cartonicini bianchi. La signora, in evidente stato d’agitazione, prendeva uno dei cartonicini colorati, lo osservava per qualche istante, dopodichè sfogliava grossi volumi per consultarli, scriveva su uno dei cartoncini bianchi, lo infilava in una busta sulla quale scriveva qualcosa e chiudeva la busta. Infine, ricominciava l’operazione da capo prendendo un altro cartoncino dal mucchio alla destra del tavolo.
“Chissà quanto la pagheranno per un lavoro simile” disse il bue. “Non la pagano affatto”, rispose sicuro l’asinello, “sta semplicemente rispondendo a dei bligliettini di auguri, si vede che è una donna benestante”.
“Auguri?” domandò il bue, curioso. “A cosa servono gli auguri?”. “A nulla” disse l’asinello, “ma gli uomini, chissà perchè, ne hanno una grossa considerazione”.
Si spostarono, affacciandosi ad un’altra finestra. Ovunque vedevano uomini e donne intenti a fare pacchi, correre da una stanza all’altra, rispondere al telefono, tagliare spaghi, manovrare nastri, costruire presepi, spostare scatole e cartoni, allestire mazzi di fiori e scrivere milioni di biglietti di auguri.
Lo spettacolo che appariva davanti ai loro occhi era sempre lo stesso. Tutto era fatica, ansia, frenesia ed una tremenda confusione. Fu così che il saggio bue disse all’asinello “Ma mi avevi parlato di una festa della pace e della serenità!”
“Hai ragione” rispose l’asinello “ma da qualche tempo a questa parte le cose sembrano cambiate. Cosa vuoi? La società si evolve e tutti sembrano essere impazziti. Ascolta un pò..”.
Il bue prestò attenzione tendendo le orecchie. Nelle vie della città come nelle case, la gente si scambiava meccanicamente delle formule di auguri convenzionate, imparate a memoria. Agli auguri si ricambiava con altri auguri e con un grazie.
“Ma sono sinceri?” disse il bue, “si vogliono davvero tanto bene tra di loro?” L’asinello lo guardò ma non disse niente. “Ma perchè non ci spostiamo un pò? Sono già stanco di tutta questa confusione.” affermò il bovino.
“No, è semplicemente questo il Natale”, disse l’asino. “Ma è diverso dal nostro. Ti ricordi a Betlemme, solo noi, la capanna, i pastorelli e quel bambino. Faceva tanto freddo, si, ma c’era una pace ed un’armonia.. Anche sul tetto si sentivano come degli uccelli..”
“Quali uccelli?” disse l’asinello, “quelli erano angeli..”. “E quella stella così bella, proprio sopra la capanna, ti ricordi? Chissà se c’è ancora..”
“Penso proprio di no, e poi qui ce ne sono poche di stelle”. I due alzarono lo sguardo e si accorsero che non c’era niente. La città era coperta da una coltre di caligine e smog.
5. Fiaba “Betlemme”
Maria: “Sono stanca Giuseppe. Ho bisogno di riposare”.
Giuseppe: “Siamo quasi arrivati Maria. Un piccolo sforzo ancora ed alla prima osteria chiederemo asilo. Eccone una laggiù!”.
Bussano
Oste: “Chi sarà mai a quest’ora?”
Giuseppe: “Salve gentiluomo. Siamo due pellegrini in cerca di ospitalità”.
Oste: “Mi dispiace, ma io ospito solo signori. Questo posto non è per voi!”
Giuseppe: “Ma vi assicuro che vi pagheremo. Ci accontentiamo di un semplice giaciglio. Siamo così stanchi!”.
Oste: “Non ci sono posti liberi. Poco più avanti c’è un’altra osteria, provate lì”.
Giuseppe: “Andiamo Maria. Proviamo più avanti.”
Bussano
Ostessa: “Chi è? Che cosa volete?”
Maria: “Cerchiamo ospitalità mia signora. Veniamo da lontano e siamo tanto stanchi”:
Ostessa: “Mi dispiace, ma l’ostello è pieno. C’è gente arrivata da ogni paese e persino degli astronomi. Pare che nel cielo debba passare una stella cometa. Dicono che aspettano la nascita del Messia. Adesso devo andare..”
Maria: “Non ce la faccio più Giuseppe. Dormirò sulla neve.”
Giuseppe: “Guarda laggiù Maria. C’è una stalla! Forse potremo entrarci, è aperta..C’è anche una mucca e della paglia pulita in terra. Vieni Maria, stenditi qui mentre io metto al riparo anche questo povero asinello..”
Coro di angeli: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama!”
6. Lo sciopero del Natale
Questa storia è avvenuta quando ancora gli scioperi non esistevano, o meglio, erano poco conosciuti. Probabilmente, possiamo considerare lo sciopero di questa storia come il primo vero sciopero in assoluto. La storia riguarda tutti i Babbo Natale della Terra, pronti a protestare, ma andiamo a conoscerne il motivo.
Tanto tempo fa, così come avviene ancora oggi, durante l’anno i Babbo Natale della Terra, rinchiusi nei loro rifugi del Polo Nord, erano intenti a leggere le letterine ricevute da ogni bambino e a preparare con cura i regali.
È stato questo, da sempre, il lavoro dei Babbo Natale, che possiedono mezzi potenti per raggiungere in breve tempo ogni angolo della Terra. Ad esempio, il Babbo che si occupa di distribuire i regali nel continente africano, ha un calesse gigantesco, trainato da quattro magnifici struzzi.
Quello diretto in Asia, siede su un comodo baldacchino montato sul dorso di un enorme elefante; mentre il Babbo Natale europeo viene a trovarci sulla classica slitta trainata dalle renne, più abituate al nostro freddo. C’è invece un magnifico canguro, che nella sua grande pancia trasporta il Babbo diretto in Australia. Un’infinità di mezzi rimarrebbero ancora, ma li lasciamo allo spazio dell’immaginazione.
Purtroppo, qualcosa di veramente grave stava accadendo in quel tempo al Polo Nord, qualcosa che poteva mettere a repentaglio il Natale.
-“È proprio un macello!”, disse il Babbo Natale che portava i doni in Cina. “Anche oggi, l’orso postino ha portato poche lettere”.
-“Già”, rispose il Babbo Natale africano, mentre sistemava le sue zebre. “Solo lo scorso anno ne ricevevamo a centinaia ogni giorno”.
-“Per non dire di qualche anno fa, quando i bambini ci sommergevano di lettere di richieste”, aggiunse quello americano.
-“Le lettere di quest’anno sono troppo poche”, disse il Babbo giapponese. “E c’è da aggiungere che molte le ha scritte l’orso postino per non vederci così tristi. Senti questa come recita: “Caro Babo Nattale, sonno un bambbino di sete anni e desiddero ricevere a Nattale una bela e suggosa bisteca di balena che non lo mai sagiata”.
-“Hai ragione”, disse l’ennesimo Babbo sentendo quelle parole, “nessun’altro avrebbe saputo scrivere una lettera simile. Ma cosa sta succedendo?”
-“Ve lo dico io”, disse il Babbo australiano. I bambini non credono più in Babbo Natale e per questo hanno smesso di scrivere le lettere”.
-“Ma come mai? Chi li ha convinti di questa cosa?”
-“Secondo me”, disse il Babbo europeo, “i genitori non hanno più nè il tempo nè la pazienza di raccontare ai loro figli la storia di Babbo Natale. E poi, al giorno d’oggi, con i ritmi della vita moderna, chi vuoi che abbia voglia e tempo di credere a noi?”.
-“Ma se nessuno ci scrive più, chi porterà ai piccoli i regali che desiderano?”
-“Anche quest’anno”, disse il Babbo africano, “solo pochi bambini riceveranno i regali, per lo più figli di gente benestante”.
-“È una cosa bruttissima” protestarono insieme i Babbi. “Dobbiamo fare qualcosa!”.
-“E cosa possiamo fare?” domandò il Babbo asiatico.
-“Facciamo uno sciopero collettivo. Quest’anno non porteremo i doni a nessuno”, disse il Babbo europeo. E aggiunse, “stamperemo tanti volantini da distribuire sulla Terra, con una scritta che segnali lo sciopero di Babbo Natale per quest’anno, visto che nessuno vuole più credere in lui”. E così decisero.
Quell’anno, il giorno di Natale, i bambini di tutto il mondo erano tristi per non aver ricevuto nemmeno un dono. Ma alla fine, bambini ed adulti capirono di aver sbagliato nell’aver perso lo spirito natalizio; così vollero scusarsi con i Babbo Natale mandandogli una montagna de lettere. Fu così che il Natale ritornò alla normalità, anzi quell’anno i bambini ricevettero il doppio dei regali desiderati.
7. L’agrifoglio
Il pastorello si svegliò di soprassalto. Accecato da una luce nuova nel cielo, una luce mai vista. Avendo paura, il giovane pastore abbandonò l’ovile e corse per il bosco. Si ritrovò in campo aperto, sotto un cielo luminosissimo, e dall’alto scendeva un coro angelico.
-“Che pace che c’è qui”, pensò il pastorello e aggiunse, “non può venire che da lassù”.
Le pecore lo avevano seguito a sua insaputa e lo osservavano con aria misteriosa. Ma ecco che comincia ad arrivare tanta gente, ed insieme si affrettano a raggiungere una grotta.
-“Dove siete diretti?” chiese il pastore.
-“Ma come? Non sai che è nato il figlio di Dio? È giunto il Messia in mezzo a noi”.
Così il pastorello decise di unirsi alla comitiva per vedere il figlio di Dio. Presto però si accorge che tutti hanno qualcosa da donare al bambin Gesù, mentre lui, da povero pastore, non possedendo nulla, tornò mestamente dalle sue pecore.
Ma il ragazzo ignora che il dono più grande per Gesù altro non è che il suo cuore buono e generoso. Ad un tratto, si sente pungere ai piedi nudi, cosicché il pastorello si ferma e guarda in terra. E coglie meravigliato un arbusto ancora verde.
È la pianta dell’agrifoglio, dalle foglie spinose e lucide. Intanto, il coro degli angeli continua a sentirsi sempre più vicino alla terra, e la gente sembra tutta in festa. Il desiderio di correre dal bambin Gesù è troppo forte per il pastore, anche se non ha nulla da offrire.
Così, il pastorello andò alla capanna portando in omaggio l’agrifoglio appena colto. Si avvicinò alla grotta incerto e confuso, scorgendo il bambino sorridente che sembrava aspettarlo.
Ma ecco che avviene lo strano miracolo. Le gocce di sangue presenti sulle mani del pastore, divengono rosse palline che si posano sui rami della pianta spinosa portata in dono per Gesù.
Al ritorno dalla grotta, sorpreso dall’inaspettato avvenimento, un’ennesima sorpresa attende il pastore. Il bosco è pieno di piante d’agrifoglio dalle bacche vermiglie.
Da quella notte in poi, l’agrifoglio viene donato come simbolo di augurio a tutte le persone care.
8. Alla vigilia di Natale – Bertolt Brecht
Un vischio, fin dall’infanzia
sospeso grappolo di fede e di pruina
sul tuo lavandino e sullo specchio ovale
ch’ora adombrano i tuoi ricci bérgere
fra santini e ritratti di ragazzi infilati
un pò alla svelta nella cornice,
una caraffa vuota, bicchierini di cenere e di bucce,
le luci di Mayfair, poi a un crocicchio le anime,
le bottiglie che non seppero aprirsi,
non più guerra nè pace,
il tardo frullo di un piccione
incapace di seguirti.
9. A Natale – Giovanni Paolo II
Signore Gesù,
ti contempliamo
nella povertà di Betlemme,
rendici testimoni del tuo amore,
di quell’amore
che ti ha spinto a spogliarti
della gloria divina,
per venire a nascere
fra gli uomini
e a morire per noi.
Infondi in noi il tuo Spirito,
perchè la grazia dell’Incarnazione
susciti in ogni credente l’impegno
di una più generosa corrispondenza
alla vita nuova
ricevuta nel Battesimo.
Fà che la luce di questa notte
più splendente del giorno
si proietti sul futuro
e orienti i passi dell’umanità
sulla via della pace.
Tu, Principe della pace,
tu, Salvatore nato oggi per noi,
cammina con la Chiesa
sulla strada che le si apre dinanzi
nel nuovo millennio.
10. Il bambino scalzo
Era la notte della vigilia. Un povero calzolaio lavorava instancabilmente dentro la sua unica stanza, dove viveva con la moglie.
L’indomani avrebbe dovuto consegnare un paio di scarpe per il figlio di un ricco signore.
-“Sai già cosa potremo comprare con il guadagno di questo lavoro?” domandò il calzolaio alla moglie.
-“Cosa vuoi che ci diano. Le scarpe sono così piccole..” rispose scherzosamente lei.
-“Beh, io mi accontenterei. Meglio un uovo oggi che una gallina domani”.
Quando ebbe finito il lavoro, il calzolaio poggiò le scarpe sul banco e le osservò attentamente soddisfatto.
-“Guarda come sono belle”, disse orgogliosamente e aggiunse “e per di più calde, con questa pelliccetta che ho messo dentro”.
-“Un paio di scarpette fatte apposta per Gesù bambino”, disse contenta la moglie.
-“Ha ragione”, rispose il calzolaio mentre dava gli ultimi ritocchi al suo lavoro. “Allora, cosa vuoi comprare da mangiare per domani a pranzo?”
-“Mah, pensavo di prendere un cappone”.
-“Già, perchè senza cappone non mi sembrebrebbe Natale. E poi cos’altro prendiamo?”
-“Un pò di prosciutto”
-“Vabbè, il prosciutto come antipasto, ed anche il dolce no?”
-“Si, il dolce e la frutta secca.”
-“E da bere?”
-“Beh, per festeggiare a dovere una bella bottiglia di spumante!”
-“Ma si. Una bottiglia sarà più che sufficiente”.
A quel punto, si sentirono dei colpi alla porta. I due si guardarono preoccupati.
-“Hanno bussato?” domandò il calzolaio.
-“Si, ma chi sarà a quest’ora? Il cliente?”
-“Ma no. Gliele devo portare domattina le scarpe.”
-“Allora non è nessuno. Sarà stato un colpo di vento”.
Ma il rumore continuò. La donna decise di aprire la porta e con sorpresa trovò fuori un bambino che la guardava, con due grossi occhioni neri. Aveva i vestiti laceri e consunti ed i capelli mossi dal vento.
-“Entra pure”, disse amorevolmente la donna al bambino.
Il bambino entrò. Aveva le labbra screpolate dal freddo e l’occhio del calzolaio cascò subito sui suoi piedini. Era scalzo.
Il piccolo non proferì parola. Guardò le scarpe appena fatte sul banco dell’artigiano e le accarezzò con gli occhi, ma senza pretensione.
L’uomo e la moglie guardarono i piedi nudi del bambino e poi le scarpe poggiate sul banco. Quindi la donna fece un cenno con la testa al marito. Il calzolaio raggiunse il banco, prese le scarpe e le porse al bambino infreddolito.
-“Tieni, sono tue. Sono calde e morbide, te le regalo”.
La moglie del calzolaio aiutò il piccolo ad infilarle.
-“Grazie” disse il bambino. “Per me sono le prime scarpe. Ora però devo andare via. Buona notte signori”.
Il calzolaio e la moglie lo guardarono sorridenti uscire frettolosamente dalla porta della loro stanza.
-“Ecco, è finita”, disse l’uomo con un filo di tristezza ma felice per il dono fatto. “Ora niente più cappone, nè frutta, nè dolci, nè niente”.
-“E nemmeno lo spumante”, disse la moglie. “Ma in fondo lo spumante non mi piace nemmeno. Ed il cappone non lo digerisco volentieri. C’è rimasta solo qualche noce ed un pò di pane raffermo”.
-“Va bene lo stesso” disse l’uomo. “Passeremo un bel Natale comunque. Spero solo che gli siano piaciute le mie scarpe” concluse.
-“Secondo me gli sono piaciute moltissimo”, disse la donna.
In quel momento, le campane della chiesa suonarono la mezzanotte e la stanza si illuminò d’un tratto. Il calzolaio e la donna furono abbagliati dalla luce. Quando ebbero riaperto gli occhi, nello stesso punto in cui il bambino aveva indossato le scarpe, videro spuntare come per magia un abete con una stella in cima. Dai rami, al posto delle decorazioni, pendevano capponi, prosciutti, formaggi, dolci e bottiglie di spumante. Soltanto allora si resero conto chi fosse quel bambino e si inginocchiarono a pregare.