Astronomia nell’antico egitto: calendario lunare, divinità e stelle

14 Nov 2019

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Nell'antichità, presso il popolo Egiziano, lo studio degli astri era strettamente collegato a una complessa simbologia, connessa con il culto funerario, con la religione e con la struttura sociale.

Gli astri svolgevano infatti un ruolo di primaria importanza sulle attività pratiche, come semina e raccolto, su quelle politiche e anche religiose, come le rituali celebrazioni annuali.

Importanza degli astri in Egitto

L’osservazione a occhio nudo del sorgere e del tramontare del sole e delle stelle veniva scrupolosamente registrata in Egitto nelle liste decanali, iscrizioni che venivano tradizionalmente dipinte all’interno dei sarcofagi durante il Medio Regno.

Gli Egiziani furono tra i primi popoli che anticamente fecero uso di allineamenti astronomici per prevedere eventi naturali o anche per confermare il verificarsi di calamità ambientali.

Questi allineamenti astronomici, che collegavano astronomia e architettura, venivano sfruttati anche per posizionare gli elementi costruttivi di monumenti e di templi, il cui orientamento era notevolmente condizionato dal sorgere o dal tramontare degli astri.

Analizzando i segni scritti sui monumenti di pietra conservati fino ai nostri giorni è possibile dedurre che le piramidi erano orientate secondo i punti cardinali, e che l’apertura obliqua che correva dall’esterno verso l’interno era diretta in maniera tale da consentire alla Stella Polare di illuminare costantemente la tomba del faraone.

Inoltre i due sfiatatoi presenti all’interno della piramide erano posizionati verso nord e verso sud, in modo tale da puntare in direzione della costellazione di Orione e quella del Dragone.

Le principali conoscenze relative all’astronomia dell’antico Egitto derivano soprattutto dai coperchi dei sarcofagi, su cui sono raffigurate sia costellazioni che singole stelle, spesso affiancate da geroglifici, spesso di difficile interpretazione.

Durante il Medio Regno, gli Egizi impiegarono gli astri per realizzare dei primitivi orologi stellari, la cui esistenza è confermata da alcune iscrizioni su papiri risalenti a 150 anni dopo Cristo.

Il sole, considerato una divinità dal potere assoluto sull’umanità, era collegato a complesse pratiche rituali che servivano per garantire condizioni di vita favorevoli alla popolazione.

L’importanza degli astri nell’antico Egitto è quindi riconducibile a un evidente dualismo che da un lato contribuisce a considerarli divinità da rispettare ed onorare e d’altro lato a temerli come entità dai poteri devastanti.

Il lento spostamento del sole e della luna, osservato dagli antichi Egiziani con un misto di timore e rispetto, portò al convincimento che si trattasse di esseri viventi, confermato anche dal comportamento di numerose stelle che periodicamente scomparivano dalla vista per poi ritornarvi dopo un certo tempo.

La tendenza all’antropomorfizzazione delle costellazioni, che presso questo popolo divenne una costante, si potrebbe spiegare appunto con la loro concezione; a tal proposito essi umanizzarono quasi tutti gli astri, considerandoli rispettivamente animali come un coccodrillo, un dragone o un toro.

Studio del calendario lunare

Il calendario egiziano era composto da tre stagioni, ognuna costituita da quattro mesi di tenta giorni ciascuno, per un totale complessivo di 360 giorni (36 decadi), a cui venivano aggiunti alla fine cinque o sei giorni denominati epagomeni.

Progettato principalmente per regolare le attività agricole in rapporto alle piene del Nilo, il calendario egiziano è uno degli esempi di maggiore complessità, dato che si basa sui movimenti di numerosi astri.

Secondo numerose ricerche scientifiche, il calendario originale nell’antico Egitto era di tipo lunare e veniva utilizzato principalmente dai sacerdoti per motivi di culto.

Le lunazioni, che hanno una durata di circa 29,5 giorni venivano denominate in base al mese in cui si verificavano. In alcuni anni potevano verificarsi tredici lunazioni, quando ne capitava una durante un giorno epagomeno, oppure quando si verificava una doppia lunazione nei giorni uno e trenta del medesimo mese.

Salvo eccezioni, il calendario lunare (di uso quasi esclusivamente liturgico) si riallineava ciclicamente con quello solare (d’impiego civile); infatti trecentonove lunazioni corrispondevano quasi perfettamente a venticinque anni cioè a 9125 giorni, mentre 940 lunazioni corrispondevano a 76 anni alessandrini.

Il calendario civile era formato da 365 giorni esatti, differendo di un quarto di giorno dall’effettiva durata dell’anno solare. In pratica ogni quattro anni il capodanno anticipava di un giorno e per questa variabilità la denominazione del calendario civile era “vago” (da latino vagus = variabile).

Il calendario alessandrino venne istituito per evitare il continuo slittamento del capodanno mediante l’inserimento di un giorno ogni quattro anni.

  1. L’anno civile era suddiviso in tre stagioni: la prima, chiamata “inondazione”, era compresa dal 29 agosto al 26 dicembre, e si riferiva al periodo di piena del fiume Nilo.
  2. La seconda, “emersione”, era compresa tra il 27 dicembre e il 25 aprile, e si riferiva alla comparsa delle terre dopo il ritiro delle acque del fiume.
  3. La terza, “raccolto”, era compresa tra il 26 aprile e il 23 agosto e corrispondeva alla fase del raccolto.

Ogni stagione comprendeva quattro mesi di trenta giorni, suddivisi in tre decadi; essi erano privi di nome ma venivano indicati con un numero cardinale.

La stagione dell’inondazione corrispondeva grossomodo all’autunno, quella dell’emersione all’inverno e all’inizio primavera, quella del raccolto al periodo tra primavera e estate.

Oltre al calendario civile vago, vi era anche un calendario Sotiaco, formulato in base al ciclo della stella Sirio appartenente alla costellazione del Cane, tradizionalmente dedicata alla dea Iside.

Sirio era caratterizzato dalla capacità di non sollevarsi dall’orizzonte per settanta giorni ogni anno rimanando invisibile, per poi ricomparire fino alla sua cancellazione ad opera della luce solare.

Nell’antica civiltà Egizia la levata di Sirio coincideva grossomodo sia con l’inizio della piena del Nilo che con il solstizio d’estate e quindi costituiva un indice di grande importanza per quantificare il fluire del tempo.

Nato principalmente per regolare i lavori agricoli, il calendario Egiziano era strutturato in base al comportamento del fiume Nilo, le cui fasi, come accennato sopra, davano il nome anche alle tre stagioni.

Importanza di Sirio

Sirio, il cui appellativo deriva da un vocabolo greco che significa “scintillante”, probabilmente collegato al momento di maggior calore estivo in cui questo astro si alzava nel cielo, è stato oggetto di venerazione da parte del popolo Egiziano, che lo identificava con lo spirito della dea Iside.

Per un lungo periodo la stella non fu visibile nel cielo dell’Egitto, a causa del movimento retrogrado dei punti equinoziali; infatti 12000 anni prima della nascita di Cristo essa si trovava sotto l’orizzonte dell’altopiano di Giza, per poi comparire per la prima volta intorno al 10500 a.C.

Grazie al potente splendore della luce emanata, Sirio venne da subito considerata espressione del desiderio divino di comunicare con gli uomini.

Definita la “Stella Fiammeggiante” per antonomasia, Sirio è venti volte più luminoso del sole ed ha dimensioni pari al doppio di quelle dell’astro, per questo motivo, nel buio della notte, questa stella illumina la volta celeste con un intensissimo bagliore argentato.

Fondamento dell’intero sistema di culto Egiziano, esso veniva venerato insieme alla dea Iside, considerata la madre dell’universo.

Anche il calendario Egizio si ricollegava all’alzata eliaca di Sirio, corrispondente al sorgere quasi contemporaneo del sole e della stella nello stesso punto dell’orizzonte, che di solito avveniva poco tempo prima delle esondazioni del Nilo in estate.

Negli antichi dipinti Egizi, Sirio veniva raffigurato come una stella scintillante tenuta in mano da una divinità maschile, identificabile probabilmente con Osiride, uno dei membri della sacra trinità Egiziana.

Antiche fonti Egiziane parlano di “stelle imperiture” che, secondo le tradizioni popolari, non tramontano mai; tra queste veniva incluso anche Sirio, la cui presenza nel cosmo condizionava numerosi aspetti della vita.

Le scuole misteriche di questo popolo ritenevano che esso fosse “un sole dietro al sole”, considerato il vero artefice della sua luminosità.
Più che a un contributo materiale, la stella veniva collegata ad uno spirituale, dato che era in grado di arrivare alla vera essenza dell’anima umana.

Il popolo Egizio associava infatti Sirio al divino, facendone il fondamento dell’intera religione; inizialmente collegato a Iside, la dea della terra, questa stella venne poi abbinato anche a Osiride e a Horus, gli altri due componenti della trinità.

L’apparizione della stella nel cielo, particolarmente riconoscibile per la sua estrema luminosità, veniva puntualmente festeggiata da celebrazioni rituali, anche per sottolineare l’arrivo della bella stagione estiva.

Secondo alcune attendibili fonti, la Piramide di Giza sarebbe stata edificata in perfetto allineamento con Sirio, la cui luce, collegata con quella solare, doveva arrivare all’uscita superiore della Grande Galleria, per raggiungere il volto del sacerdote e contribuire a potenziare la sua religiosità.

Sembra inoltre che l’allineamento di Sirio con la Camera della Regina nella Piramide di Giza stesse a indicare lo stretto collegamento della stella con la dea Iside, madre di tutta l’umanità.

Divinità nelle stelle

Come la maggior parte dei popoli antichi, anche gli Egizi erano politeisti in quanto adoravano numerose divinità (quasi 700), ciascuna delle quali era onorata da sacerdoti e templi particolari, riconducibili ai singoli culti.

Gli antichi Egiziani erano propensi ad adorare qualsiasi oggetto o essere il cui ruolo nella società era considerato utile o pericoloso; nel primo caso la divinità doveva essere ringraziata, nel secondo caso doveva venire placata.

Spesso le divinità si identificavano con animali (zoolatria), che diventavano motivo di culto e che di solito erano raffigurati in pitture soprattutto sui sarcofagi.
In molti casi le divinità erano invece caratterizzate da sembianze umane (antropomorfismo), anche se gli dei più importanti del pantheon religioso erano collegati con astri.

Il culto religioso degli antichi Egizi era particolarmente affollato proprio perché gli oggetti d’adorazione potevano essere oggetti oppure persone di qualsiasi tipo.

Il dio Ammon-Ra era il Sole, dalla cui forza derivava la vita di tutto l’universo e che era identificabile con Zeus (religione dei Greci) e con Giove (religione Romana).
Considerato la divinità di massima importanza di tutta la concezione religiosa degli Egizi, egli era raffigurato con sembianze antropomorfe.
Il dio Sole era ritenuto una divinità primordiale, creatore della vita e ordinatore dell’universo; la mitologia collegata alla sua figura tendeva a prevalere su quella degli altri dei, anche se la concezione religiosa degli Egiziani era incentrata su un deciso politeismo.

Iside, considerata la maggiore divinità femminile della religione Egizia, era la sposa di Osiride e la madre di Horus, venerata come la “Grande Madre” di tutti gli dei.
Protettrice della fecondità e delle cure materne, la dea veniva considerata come l’incarnazione divina della Luna e come tale collegata al simbolismo degli astri.
Anche in questo caso la sua immagine era raffigurata con sembianze umane, la cui iconografia riportava una falce di luna tra i capelli e uno scettro con un fiore di loto tra le mani.

Osiride era una divinità funeraria, collegata alla morte ma anche ai meccanismi che regolano l’universo e il ciclo degli astri.
Nella sua figura era insito uno stridente dualismo che da un lato si ricollegava agli inferi e d’altro lato alla fertilità.
Considerato il protettore dell’agricoltura, egli veniva raffigurato con germogli di grano, simbolo della resurrezione .
Fratello di Iside, divenne anche suo sposo, e insieme a lei contribuì a civilizzare l’umanità diffondendo gli insegnamenti sull’agricoltura.

Per gli antichi Egizi, Nut era la dea del cielo che, contrariamente alle altre religioni che consideravano un uomo come padre celeste, era collegata alla fertilità e alla vita.
Nell’iconografia tradizionale essa era raffigurata come una figura femminile nuda ricoperta di stelle, la cui pelle di colore blu simboleggiava la rinascita e la vita.
Anche in questo caso il collegamento tra divinità e stelle risultava particolarmente profondo, a sottolineare ancora una volta la concezione che gli antichi Egizi avevano degli astri.

Visione del cosmo in Egitto Antico

Per gli abitanti dell’antico Egitto, l’universo appariva come la manifestazione tangibile delle divinità che, più o meno umanizzate, contribuivano alla storia del mondo.

Questa visione fu profondamente condizionata dalla presenza del fiume Nilo che, con le sue periodiche inondazioni, faceva prima sparire le terre per farle successivamente riemergere rinnovate da una sorta di rinascita.

Ricollegandosi a questa concezione, gli antichi Egizi immaginarono che l’intera terra fosse stata prima sommersa da acque primordiali, per poi ricomparire dopo che esse si erano ritirate.

A questo punto della creazione del cosmo entrarono in azione le divinità del pantheon religioso che, ognuna con le proprie finalità, parteciparono alla nascita del mondo.

Tra tutte le divinità cosmiche, quella che esercitò la funzione più importante fu il Sole, generatore dell’energia vitale e presente sotto differenti manifestazioni.

Secondo le cosmologie Egizie, l’universo sarebbe nato da un Uovo Cosmico deposto da un animale mitico che, nella notte primordiale, avrebbe consentito alla nascita della luce.

Il substrato primordiale del cosmo, sempre seguendo alcune ipotesi, era costituito da una sconfinata massa d’acqua, localizzata fuori da spazio e tempo e contenente i potenziali germi della vita.

Molti egittologi ritengono che questo antico popolo considerasse l’universo immerso in un liquido primordiale, circondato da un serpente che si morde la coda.

Seguendo uno dei modelli cosmologici Egiziani più diffusi, l’universo aveva la forma di un parallelepipedo, il cui fondo era costituito da una concavità contenente l’Egitto.

Tutta la terra era poi circondata da catene montagnose, con quattro picchi posizionati nelle direzioni dei quattro punti cardinali, il cui ruolo era quello di sostenere il cielo.

Le montagne erano circondate a loro volta da un immenso fiume da cui nascevano da una parte il Nilo che si dirigeva verso terra e dall’altra parte la Via Lattea che prendeva la direzione della volta celeste.

Tutti gli astri (collegati alle rispettive divinità) erano in grado di percorrere il cielo servendosi di barche; in particolare il Sole navigava durante le ore di luce, mentre la Luna lo faceva durante quelle notturne.

Tra le stelle, Sirio occupava il posto di maggior rilievo dato che la sua luminosità era maggiore di quella solare e poteva illuminare perfettamente la volta celeste.

Lo stretto collegamento tra il cosmo e gli astri costituiva uno dei principali fondamenti della concezione dell’universo che gli antichi Egizi avevano sviluppato nel tempo.

Infatti la visione cosmologica dell’universo teneva in grande considerazione la posizione delle stelle nello svolgimento delle principali funzioni vitali.

Grazie alla personificazione di alcune divinità con gli astri e indirettamente con il cosmo, è possibile comprendere il collegamento tra queste tre variabili, a conferma del fatto che gli antichi Egizi avevano una visione politeista dell’universo oltre che della religione.

Secondo alcuni studiosi infatti questo popolo è stato uno dei più importanti esempi di”religiosità atea”, una forma di consapevolezza secondo cui la visione del cosmo era strettamente collegata alle divinità senza però rimanervi sottomessa.