Cosa succede dopo la morte: c’è davvero una vita dopo?

20 Ott 2022 - Tag:

Immagine mistica di cosa succede dopo la morte

Dalla nascita dell'uomo, l'immaginario individuale e collettivo creano una propria narrazione su ciò che ne è di noi, uomini e donne, concreti, fatti di carne, dopo la fine dell'esistenza terrena. Dall'uomo solitario che, in una notte stellata, si trova a pensare al suo passaggio sulla terra, al testo sacro, alla tradizione orale, di ogni religione e credenza: la domanda è talvolta angosciante, ma sempre presente. È possibile che la nostra esistenza, che per noi e per quelli accanto a noi ha un significato così importante, semplicemente cessi di essere?

Il tema della morte e di ciò che c’è nell’aldilà è un tema molto dibattuto a cui non si riesce a dare alcuna risposta. Le teorie sono parecchie, a partire da quelle più stravaganti fino ad arrivare a delle teorie un po’ più credibili. Dunque, cerchiamo di capire meglio a che cosa siamo di fronte.

Perché la morte è temuta dal genere umano?

Il concetto di morte non è né facile, né scontato, è anzi molto difficile da apprendere e da interiorizzare. Gli studi di pedagogia e di neuropsichiatria ci mostrano come per un bambino di età prescolare non è ancora consolidato il concetto di permanenza dell’oggetto. Il pensiero astratto è pienamente sviluppato soltanto durante l’adolescenza. Quindi ci vogliono anni per riuscire a capire la morte, anche se la si sperimenta. Così è stato anche per l’umanità nel suo cammino di sviluppo.

L’uomo, nella sua storia, si è sempre chiesto cosa accadesse con la morte, in quanto fine della vita e sua antagonista. Le esperienze dolorose legate alla morte e alla sua imprevedibilità, alla sua inevitabilità, ha fatto sì che si venisse a creare una narrazione sulla morte già dai primi istanti della storia dell’Uomo. La comprensione del fenomeno della morte allora era ancora agli inizi. La narrazione si è fatta sempre più complessa, fino a giungere alle complicate elaborazioni filosofiche e dottrinali degli ultimi secoli.

Qual è il senso della morte?

Falciatore della morte in atmosfera cupaDare un senso all’inspiegabile può essere persino più difficile dell’operazione attraverso la quale si prova a definirlo.

Se ponessimo la domanda in un altro senso, ovvero “perché si muore?”, le scienze saprebbero darci molte risposte: si può morire per moltissime condizioni o malattie.

È più difficile darsi pace quando le circostanze della morte sono assurde e non hanno una spiegazione scientifica, come una grave malattia o la vecchiaia. Perché un bambino può morire schiacciato da un palo della luce non ben piantato? un patologo farebbe un’autopsia e ci direbbe che è morto per un’emorragia interna. Ma, nel momento in cui succede una simile disgrazia, ci si pone delle domande di senso, i “perché“: perché proprio lui? perché non si è spostato solo di mezzo metro? perché è dovuto morire? questa morte si inserisce in un progetto più grande?

Le dottrine filosofiche e religiose si sono date diverse risposte nei millenni.

La ricerca del senso della morte è complementare alla questione che sta alla base di tutta la nostra esistenza, in quanto uomini e donne, in quanto animali dotati di raziocinio: quella sul senso della Vita. Morte e Vita sono due facce della stessa medaglia, l’esistenza dell’una e la prova dell’essenza dell’altra. L’essere umano è l’unico animale che riflette sulla propria vita, sul senso di essa. Perciò riflette anche sul senso della morte, della fine della vita,  di ciò che c’è al di là del noto, del consapevole, del concreto e di tutto ciò che sappiamo.

È una questione che ci denuda di fronte alla grandezza e alla magnificenza dell’Universo e dell’ineluttabile.

Cosa succede dopo la “linea piatta”?

Dal punto di vista medico, è noto ciò che accade dopo la cosiddetta “linea piatta”, allorquando le funzioni vitali e cerebrali smettono, semplicemente, di esistere. A circa venti o trenta secondi dalla nostra morte, perdiamo ogni caratteristica che ci rende vivi, esseri senzienti e vitali. Infatti, il cuore non batte più, i vasi sanguigni si svuotano, il processo respiratorio si interrompe, non rispondiamo più ad alcuno stimolo. Secondo molte dottrine, non esistiamo più. Talvolta in ambito medico si distinguono tre fasi della morte:

  1. morte relativa: status di cessazione delle attività vitali reversibile se trattato precocemente (prima che il tessuto nervoso si danneggi in modo irreparabile), ma senza possibilità di risoluzione spontanea;
  2. morte intermedia: in questo momento non c’è più possibilità di recupero anche con interventi mirati, ma persistono alcune attività a livello cellulare;
  3. morte assoluta: ogni attività è cessata.

Alcune attività a livello cellulare (come la motilità degli spermatozoi) possono aver luogo fino a due giorni dopo il decesso. Il processo di decomposizione invece inizia subito dopo la morte. Esso raggiunge forme visibili soltanto diverse ore dopo, con il sopraggiungere del livor mortis (la formazione di grandi lividi causati dalla forza di gravità, per cui il sangue si deposita nelle aree del corpo prossime al suolo) e del rigor mortis (l’irrigidimento muscolare). Contemporaneamente, la temperatura corporea scende fino a raggiungere la temperatura ambiente. Questo processo dura qualche ora.

Dopo la morte che cosa succede?

Immagine molto cupa rappresentante il concetto della morteÈ difficile riuscire a concepire la morte. Lo stesso concetto di morte non è più così univoco, anche in ambito scientifico. Fino agli anni Sessanta, essendo le tecniche di rianimazione ancora primitive e con limitata efficacia, da un punto di vista meramente fisico, era facile definire cosa fosse la morte e quando sopravveniva. Si era morti nel momento in cui il cuore smetteva di pompare sangue nelle vene, negli alveoli polmonari non avveniva più lo scambio tra anidride carbonica e ossigeno, e non c’era più apparente coscienza.

La morte del Corpo e dell’Anima, fondamentalmente, coincidevano.

Tuttavia le cose sono cambiate negli ultimi decenni. Nella seconda metà del Novecento i progressi della tecnica e della medicina, insieme a nuove ricerche e conoscenze scientifiche, hanno ribaltato le carte in tavola; era finalmente possibile riportare alla vita quelli che sarebbero stati al di là del tradizionale discrimine fra vita e morte. Perciò sempre più persone erano in grado di riportare esperienze premorte, ovvero quelle esperienze che si registrano nel momento in cui la persona muore (o ci va molto vicina). Queste vengono ricordate dalla stessa quando viene rianimata.

Il primo studio scientifico sulle esperienze premorte si deve ad Albert Heim (1849-1937). Geologo svizzero, durante un’escursione alpinistica, cadde da una grande altezza, sopravvivendo. Quello che racconterà poi è straordinario: mentre cadeva sempre più velocemente, provò una sensazione di beatitudine, come se le dimensioni del tempo e dello spazio non esistessero più, anzi, si fossero dilatate tendendo all’infinito. Fu colpito moltissimo da questa esperienza e comincio ad interrogare altri alpinisti che avessero sofferto di incidenti simili. Riuscì così a raccogliere più di trenta testimonianze di esperienze premorte.

Ma che cosa sono le esperienze premorte? Certo è che, ad oggi, non esiste una spiegazione scientifica convincente sul perché esse accadono. Sono il frutto di reazioni chimiche che avvengono all’interno del nostro cervello nel momento in cui inizia il processo di decomposizione? costituiscono un ponte fra l’aldilà e il mondo “di qua”? sono la prova empirica dell’esistenza di una vita dopo la morte?

Scienza: muore prima il corpo o la mente?

Il corpo e la mente sono due entità strettamente legate e difficilmente distinguibili. Tuttavia, se consideriamo la mente come coscienza e il corpo come macchina che necessità delle funzioni vitali, allora si può operare una distinzione.

Già se consideriamo la mente come attività cerebrale, la questione si fa molto più complessa. Dalla metà del Novecento è stato introdotto il concetto di morte cerebrale. Si realizza quando i segni vitali sono regolari, ma il cervello non svolge più le sue funzioni. Quindi non ci sarebbe più conoscenza.

Nel momento in cui il cuore cessa di battere, le cellule entrano in un processo di decadenza, la decomposizione. Gradualmente le cellule smettono di funzionare e le cellule del sistema nervoso, che compongono gran parte del nostro cervello, sono le prime a morire. Generalmente sono sufficienti 6 minuti perché il cervello subisca danni permanenti. Dopo un paio d’ore le cellule del sistema nervoso non hanno alcuna attività residua.

Cosa succede all’anima subito dopo la morte?

Nelle dottrine secondo le quali l’Anima e il Corpo sono due elementi distinti ma complementari nell’essere umano, la morte sarebbe il momento in cui si verifica una nuova separazione tra le due componenti, che si sono incontrate al momento del concepimento o della nascita.

L’Anima affrancandosi dal corpo, entrerebbe in una nuova dimensione, che può essere contemporanea alla nostra e condividerne i luoghi, oppure essere un vero e proprio aldilà.

Cosa si prova quando si muore?

Immagine molto cupa della morteDobbiamo ancora far affidamento alle informazioni che ci sono pervenute attraverso le esperienze premorte.

Secondo i sopravvissuti a tali esperienze, quando si muore si prova un senso di profondissima quiete, di infinita pace. Le dimensioni dello spazio e del tempo vengono distorte, fino a non esistere più. Anche la distinzione fra il corpo e l’ambiente circostante scompare. Alcune persone vedono un tunnel, che per taluni è orizzontale, mentre per altri è verticale, una sorta di buco in cui si precipita, più o meno dolcemente.

Spesso si vedono i propri cari deceduti, in un paesaggio onirico, surreale o meraviglioso, spesso caratterizzato da una presenza massiccia dei quattro elementi, in particolare dell’acqua.

Altri assistono alla propria morte in terza persona, vedendo il personale medico che si accinge a salvarli da una prospettiva esterna, dall’alto, da dietro medici ed infermieri. Addirittura spesso si vive una sorta di sogno febbricitante per cui le intense esperienze che coinvolgono tutti i sensi si mescolano con la visione del proprio corpo da una prospettiva esterna.

Testimonianze ed esperienze di vita dopo la morte

Anita Moorjani, nel 2006  ebbe una delle esperienze premorte più conosciute. Per tre giorni rimase in coma con il suo corpo pieno di metastasi tumorali. Ai suoi cari venne detto che non c’era più niente da fare. In quel lasso di tempo Anita ha vissuto una tipica esperienza premorte: ha sentito la beatitudine e la pace, tanto da non voler più tornare. Però è stata convinta a riprendere il controllo del suo corpo dal padre e dal migliore amico, morti entrambi anni prima, che ha incontrato in questa esperienza. Ha poi dedicato il resto della sua vita alla testimonianza di quanto accaduto.

Mary Neal, un chirurgo statunitense, nel 1998 si trovava in Cile per fare rafting. A causa di un incidente, morì per circa 24 minuti. Di questi, 12 almeno passati sotto l’acqua senza ossigeno. Anch’essa portò il racconto di un’esperienza premorte simile ad altre, tra cui quella di Moorjani. Ma il particolare più incredibile è il fatto che, in quell’occasione, le fu rivelata la morte prematura del figlio maggiore, Willie. Il ragazzo morirà dieci anni dopo.

C’è vita dopo la morte umana?

La risposta a questa domanda rimane un mistero. La credenza nella separazione tra Anima e Corpo, alla base di moltissime dottrine religiose e filosofiche, ci indurrebbe a pensare che l’anima abbandoni il corpo dopo la morte. In molte culture è consolidato come fatto quello della reincarnazione. Abbiamo centinaia di testimonianze di bambini che sembrano ricordare una vita precedente alla loro.

Immagine cupa con una luce luminosa Il caso più famoso in Occidente è probabilmente quello di Cameron Macaulay. Nel 2003 era un bambino di tre anni di Glasgow, in Scozia. Allora incominciò a raccontare alla madre della sua vita a Barra, un’isola a 300 km da Glasgow. Là ci sarebbe stata una famiglia che lo aspettava. Il bambino fu portato sull’isola e riconobbe la sua casa. Riuscì ad entrare nel cortile attraverso un pertugio nella recinzione, difficilmente visibile.

Parlando con la gente del posto si poté verificare la veridicità del suo racconto.

La reincarnazione, come la credenza nell’aldilà, o in una vita dopo una morte, presuppone un distacco tra Anima e Corpo. Ciò avverrebbe al momento della morte.

21 Grammi: l’Esperimento che misurò il peso dell’Anima dopo la morte

Nel 1901 Duncan MacDougall era un giovane medico statunitense, di Haverhill, Massachussets. Volenteroso di dare una dimensione fisica e scientificamente provata all’anima, compì un singolare esperimento: pose sei pazienti in punto di morte, sopra delle bilance di precisione industriali collegate a dei lettini. Quattro dei malati erano affetti da tubercolosi, uno da diabete. Dell’ultimo non abbiamo informazioni cliniche. Scelse dei pazienti che fossero troppo debilitati per muoversi, così da avere una misurazione ancora più precisa.

Questo fu il risultato dell’esperimento:

  • i risultati relativi a due ricoverati furono dichiarati nulli. Uno di essi morì mentre la bilancia veniva calibrata, l’altro perché i meccanismi della macchina non erano stati tarati correttamente;
  • un paziente scese di peso quando il cuore si fermò, ma poi lo riprese;
  • altri due malati dimagrirono nel momento della dipartita, per poi perdere ancora massa ancora pochi minuti dopo;
  • invece, l’ultimo, perse esattamente 21,3 grammi nell’istante preciso della morte.

Quali furono i risultati di questo esperimento?

MacDougall trasse la conclusione che quei 21,3 grammi, o 3/4 di oncia secondo le unità di misura imperiali, adottate negli Stati Uniti, costituissero il peso dell’Anima che abbandonava il corpo nel momento esatto della Morte.

A ulteriore sostegno della sua tesi, cioè che l’Anima fosse quel quid che distingue gli esseri umani dalle altre forme di vita, ripeté lo stesso esperimento con 15 cani. Nessuno di essi perse peso.

L’esperimento venne accolto con scetticismo dalla comunità scientifica. I risultati dello studio non vennero pubblicati che sei anni dopo, nel 1907. L’11 marzo 1907 il New York Times pubblicò un articolo intitolato “Soul has Weight, Physician Thinks” (“L’anima ha un peso, pensa un medico”). Lo stesso studio fu successivamente pubblicato in diverse riviste scientifiche dell’ambito medico.

Lo studio ebbe un enorme impatto nell’immaginario e nella cultura di massa. Viene ancora spesso citato in prodotti della cultura popolare, quando non è proprio l’ispirazione. È del 2003 il film noir 21 grammi  (“21 grams”), del regista messicano Alejandro González Iñárritu , uscito negli Stati Uniti. Annovera nel suo cast Sean Penn, Benicio del Toro e Naomi Watts.

Persino il rapper italiano Fedez nel 2005 incise una canzone sul tema, 21 grammi.