Tutto sull’universo: cos’è, come si è formato e il fine ultimo

21 Nov 2018

La visione del cielo stellato è uno spettacolo grandioso. In notti particolarmente limpide esso appare ancora più maestoso, se poi avessimo la possibilità di osservarlo con un buon telescopio avremmo l'impressione di aver raggiunto i limiti del Cosmo e di riuscire a scorgere tutto ciò che esiste. Si tratterebbe però solo di un'illusione: lo spazio che anche il più potente dei telescopi ci permette di esplorare non è che una minuscola "goccia" di quell'immenso mare che è l'Universo.

Etimologia e definizione di Universo

La parola Universo deriva dal latino universus, unione di unus (uno) e versus (vòlto, avvolto), cioè “tutto intero avvolto in sé stesso”. Oggi l’Universo viene definito in astronomia come tutto lo spazio attorno a noi e tutta la materia che lo riempie, il che significa che è costituito da: l’energia nelle sue varie forme, i pianeti, i satelliti, le stelle, le galassie, le nebulose interstellari, il contenuto dello spazio intergalattico e anche le leggi fisiche.

È possibile concepire l’Universo come spazio-tempo connesso. Secondo il modello cosmologico dell’inflazione caotica, meglio conosciuto come teoria delle bolle, l’Universo sarebbe solo una delle infinite “bolle” di spazio-tempo collegate tra loro tramite i wormhole teorizzati da Einstein.

Se l’Universo con la U maiuscola è tutto l’esistente, un’altra definizione un po’ restrittiva concepisce invece l’universo come realtà osservabile, cioè tutto ciò si può vedere dal nostro punto di osservazione. Per effetto dell’espansione dello spazio, la velocità relativa di allontanamento dei corpi celesti può anche superare la velocità della luce. Questo fa sì che vi siano delle regioni remote dell’Universo con le quali non potremo mai interagire. L’universo osservabile si configura dunque come quella parte dello spazio che può interagire con noi (e viceversa) e che dipende dal punto di osservazione.

Cos’è l’universo e da cosa è composto: la struttura

La maggior parte della materia dell’Universo è distribuita uniformemente, ovvero a distanze abbastanza regolari, e isotropicamente, cioè presenta il medesimo contenuto di materia in ogni regione dello spazio. Tuttavia, su piccola scala, è disposta in maniera gerarchica: le stelle sono riunite in galassie che a loro volta formano ammassi e superammassi. Infine, gli studi più recenti hanno evidenziato la struttura a grande scala dell’universo che assomiglia a una spugna, con muri e filamenti di galassie e ammassi separati tra loro da giganteschi vuoti (voids).

Tutte le antiche civiltà, dai Babilonesi ai Greci, elaborarono diverse concezioni sulla struttura dell’Universo. Per circa due mila anni il modello cosmologico accettato fu quello geocentrico (la Terra al centro dell’Universo), finché Copernico non riprese l’antico modello eliocentrico di Aristarco di Samo (il Sole al centro dell’Universo) e lo propose nella sua opera De revolutionibus orbium coelestium. Uno dei più appassionati sostenitori del sistema copernicano fu Keplero, autore delle tavole rudolfine contenenti istruzioni e tavole per localizzare i pianeti del Sistema Solare. È noto il ruolo di Galileo Galilei nell’affermazione del sistema copernicano. Arrivò poi l’Universo frattale di Charlier (sistemi di corpi orbitanti che a loro volta orbitano in sistemi più grandi, ad infinitum) a cui seguirono altri modelli cosmologici tutti incompleti e insoddisfacenti. Ancora Einstein, come Newton, credeva che l’Universo fosse infinito. Le teorie di evoluzione ed espansione si imposero di fatto grazie ai lavori di Hubble che le documentavano.

Le dimensioni dell’universo sono alquanto difficili da definire. Se ci limitiamo all’universo osservabile, la distanza dell’orizzonte cosmologico è di circa 46,5 miliardi di anni luce. Tale infatti è la distanza percorsa dalla luce in un tempo pari all’età dell’Universo. Quindi, l’universo che possiamo osservare ha un diametro di 93 miliardi di anni luce, un valore inimmaginabile per mancanza di termini di paragone.

Le stelle sono enormi sfere di gas caldissimo che mantengono la loro forma e la loro struttura a causa della gravitazione prodotta dalla loro stessa massa e sono gli elementi basilari delle galassie. La maggior parte della materia dell’Universo è organizzata sotto forma di stelle, di qui l’importanza del loro studio. Attraverso la superficie delle stelle viene irradiata una grande quantità di energia prodotta al loro interno mediante reazioni termonucleari.

La composizione delle stelle vede l’idrogeno come componente principale (circa 90%); l’elio forma solo il 9% della massa, mentre il rimanente è degli elementi più pesanti. La temperatura alla superficie di una stella si può misurare sia dal suo spettro sia per mezzo di osservazioni più semplici (ricordando, per esempio, che dalla temperatura dipende il colore). Convenzionalmente, le stelle vengono raggruppate in costellazioni, insiemi che sembrano distinguersi per un particolare disegno che li rende facilmente riconoscibili. Tra le costellazioni più celebri troviamo l’Orsa Maggiore e Orione.

Le stelle nascono dalla condensazione di una nube di polveri e gas interstellari che cominciano ad interagire tra loro, comportando un aumento vertiginoso di densità. La contrapposizione tra le forze gravitazionali interne, che tendono a comprimere l’ammasso gassoso, e l’altissima pressione termica, che tende a farlo esplodere, portano la nube al collasso e si ha così la formazione di una protostella. Una volta che ha superato la temperatura di 10 milioni di kelvin, la protostella diventa una vera e propria stella.

La materia delle stelle e quella dello spazio interstellare non riempiono uniformemente lo spazio dell’universo, ma occupano porzioni di spazio chiamati galassie. Il termine proviene dal greco galaxìas, cioè “Via lattea”, nome del sistema di stelle di cui la nostra Terra, con il Sole e gli altri pianeti, fa parte, e che appare ai nostri sguardi durante le notti serene come una striscia lattiginosa. Le galassie sono sistemi stellari formati da un grandissimo numero di astri molto distanti tra loro e da una massa di materiale cosmico (pulviscolo e gas). Le galassie più prossime alla nostra sono le Nubi di Magellano e la Galassia di Andromeda che distano rispettivamente 163.000 e 2,56 milioni di anni-luce dagli osservatori terrestri.

Le dimensioni delle galassie variano da poche migliaia a centinaia di migliaia di anni-luce: la Via Lattea, per esempio, ha un diametro di centomila anni luce e – fino a quando non venne scoperta e misurata Andromeda – si pensava che fosse la galassia più grande.

Per quanto riguarda la forma, l’astronomo americano E. P. Hubble ha proposto un sistema di classificazione che suddivide i sistemi stellari in quattro categorie: le galassie ellittiche, quelle irregolari, le spirali normali e le spirali barrate. Le ellittiche hanno più o meno la forma geometrica cui si riferisce il loro nome e sono quelle corrispondenti ad uno stadio avanzato; le galassie irregolari hanno le forme più svariate, senza possibilità di una categorizzazione geometrica; le galassie a spirale sono costituite da un nucleo centrale da cui si dipartono a raggiera numerosi bracci a spirale più o meno aperta; le spirali barrate sono uguali alle precedenti, ma il loro nucleo è attraversato da una larga striscia di materiale cosmico diffuso. La distribuzione delle galassie nello spazio non è casuale: esse spesso appaiono raggruppate in “ammassi” formati anche da migliaia di galassie.

La Via Lattea è una scia di stelle, ben visibile nelle notti serene, che divide in due la volta celeste. Sostanzialmente è la nostra galassia: il complesso sistema di corpi celesti di ogni genere dei quali il sistema solare fa parte. Così come ci appare, corrisponde al piano centrale della galassia, che comprende – si calcola – circa cento miliardi di stelle. Il suo diametro è valutato in centomila anni luce, e lo spessore in diecimila (s’intende lo spessore massimo, al centro, in corrispondenza del nucleo della galassia).

Per quanto, data anche la posizione del sistema solare dentro la Galassia, non sia facile studiarne la forma, gli astronomi oggi concordano in genere sul fatto che la Via Lattea sia una spirale con quattro braccia. Poiché alla periferia del sistema la velocità di rotazione è inferiore rispetto al centro, le quattro braccia tendono ad allungarsi in continuazione. Anche per questo, la Via Lattea è considerata una galassia in evoluzione.

Origini ed età dell’universo, e leggi che lo governano

La cosmologia è la scienza che ha come oggetto lo studio dell’origine e dell’evoluzione dell’Universo. Se in passato si credeva che l’Universo fosse statico e immutabile, le osservazioni cosmologiche degli ultimi anni hanno invece dimostrato che è in continua evoluzione.

Nel 1923 Hubble, uno dei più importanti astronomi del 20° secolo, scoprì l’esistenza di galassie diverse dalla nostra. Ma non si limitò a questo. L’americano, infatti, è principalmente noto per aver enunciato nel 1929 la legge dello spostamento verso il rosso, altrimenti nota come legge di Hubble. L’osservazione spettroscopica di oggetti astronomici permise ad Hubble di evidenziare lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali delle galassie e degli spettri delle stelle, dimostrando che le galassie si allontanavano l’una dall’altra.

La velocità di allontanamento è tanto maggiore quanto più distante è la galassia. La legge di Hubble si può esprimere con la seguente formula:

ν = H∙d

dove v è la velocità di allontanamento, d è la distanza della galassia dalla Terra e H è la costante di Hubble, che esprime il tasso di espansione dell’Universo.

Il fatto che, dal nostro osservatorio galattico tutte le altre galassie si vedano allontanare con velocità proporzionale alla distanza, equivale a dire che tutte le galassie si allontanano tra loro come se lo spazio che le separa si dilatasse. Questa dilatazione implica principalmente due cose. La prima riguarda la teoria della relatività generale, la più completa teoria delle forze gravitazionali, quelle che governano il moto degli astri dell’universo. Essa prevede che lo spazio, se riempito di materia, sia illimitato, ma finito, e che si dilati. Dunque la verifica dell’esistenza della dilatazione dell’universo è una verifica della validità della teoria della gravitazione.

La seconda implicazione riguarda l’origine dell’universo. Dalla distanza media alla quale si trovano ora le galassie e dalla velocità con cui si allontanano si può dedurre quanto tempo è trascorso da quando la loro materia doveva essere tutta concentrata in un punto dell’universo.

Gli spostamenti degli spettri vengono utilizzati per quantificare gli spostamenti di una sorgente di luce rispetto ad un osservatore. Sappiamo che quando un’ambulanza si avvicina, il suono della sirena diventa più acuto, mentre quando si allontana diventa più grave. Questo fenomeno, conosciuto come Effetto Doppler, è generalizzabile dicendo che il suono di una sorgente sonora che si avvicina ha una frequenza maggiore del suono della stessa sorgente che si allontana. Qualcosa di simile all’effetto doppler si verifica con la luce: quando una sorgente luminosa si avvicina, la sua colorazione tende verso il blu (blue shift), mentre quando si allontana tende al rosso (red shift).

La teoria predominante sull’origine dell’universo è quella del Big Bang (grande scoppio), termine coniato da Fred Hoyle. Se tutte le galassie si allontanano tra loro, in un tempo lontano dovevano essere riunite e tutta la materia che ora contengono doveva essere densa e compatta, non ancora organizzata sotto forma di stelle e di nubi gassose. Da queste osservazioni si è sviluppata l’ipotesi che l’universo sia nato da un’immane esplosione avvenuta 15 miliardi di anni fa che ha visto la materia, inizialmente densa, proiettarsi all’intorno. Nella dilatazione la materia si sarebbe frammentata a formare gli addensamenti dai quali si sarebbero successivamente sviluppate le galassie.

La teoria del Big Bang venne formulata da Alexander Friedmann – autore delle Equazioni di Friedmann – nel 1929 e successivamente completata da George Gamow nel 1940. In origine, dunque, tutta la materia sarebbe stata concentrata in una sfera caldissima con una curvatura e una densità elevatissime. Sia pure raffreddandosi molto rapidamente, questa sfera avrebbe emesso una radiazione cosmica di fondo che, viaggiando nello spazio dell’universo per miliardi di anni, dovrebbe essere tuttora percettibile. Questa radiazione effettivamente si osserva, e conferma la validità della teoria. Anche la corrispondenza dell’abbondanza di elementi chimici leggeri come idrogeno e elio con le stime previste in seguito al processo di nucleosintesi sono un’ulteriore conferma dell’ipotesi del big bang.

Dopo l’esplosione iniziale, la materia dell’Universo si è evoluta formando le stelle entro le galassie. La materia interstellare rarefatta sarebbe l’avanzo di quella primordiale e, col tempo, ci si attende che anch’essa vada a formare le stelle. Queste si trasformano producendo energia con le reazioni nucleari; ma alla fine della loro vita diverranno materia invisibile perché ormai incapace di produrre, a causa della nuova organizzazione, onde elettromagnetiche o radio. Il modello che meglio riproduce le osservazioni del big bang è il Modello Lambda-CDM, detto anche modello standard della cosmologia.

Il destino ultimo dell’universo

Attualmente la fisica è piuttosto lontana dal poter rispondere in modo immutabile alla domanda su quale sarà il destino ultimo dell’universo. Tuttavia sulla base dei dati teorici raccolti finora è possibile affermare che l’universo non collasserà dal momento che appare piatto e aderisce ai presupposti del principio cosmologico, ossia l’isotropia e l’omogeneità. Dunque per ottenere una teoria risolutiva e preponderante sul destino ultimo dell’universo la fisica dovrà fare altri passi in avanti. Analizziamo uno dei grandi interrogativi di geografia astronomica: qual è la forma dell’Universo? Stando alla relatività generale, la curvatura dello spazio è determinata dalla massa. I matematici distinguono tre classi di curvatura: nulla, positiva e negativa. Cosa significano questi tre tipi di curvatura per il destino dell’Universo?

  • Universo aperto: se la curvatura è negativa, la massa non è sufficiente a bloccare l’espansione dell’Universo, il quale è destinato ad espandersi per sempre.
  • Universo piatto o euclideo: se la curvatura è nulla, l’espansione rallenta gradualmente fino a cessare.
  • Universo chiuso: se la curvatura è positiva, lo spazio contiene una massa sufficiente per fermare l’espansione, e quindi l’Universo non è infinito, sebbene non abbia confini.

Il destino preannunciato dalle teorie dell’Universo aperto e dell’Universo piatto è simile: in entrambi i casi lo spazio diventerebbe un luogo desolato sempre più buio e con una temperatura rasente lo zero assoluto. La teoria dell’Universo chiuso, invece, ipotizza uno scenario in cui le galassie cominceranno ad avvicinarsi finché il cosmo non imploderà su se stesso in un processo opposto al Big Bang, detto Big Crunch.

La teoria del multiverso e dimensioni parallele

Secondo la fisica contemporanea la teoria del multiverso afferma che nel nostro spazio quadridimensionale possano sussistere più universi sconnessi. Ogni singolo universo è anche detto dimensione parallela. Dunque secondo i teorici la nostra realtà visibile è solo una fra le tante frequenze invisibili compresenti dentro un multiverso, inoltre alcuni asseriscono che noi stessi stiamo vivendo in questo medesimo istante delle vite parallele in altri universi coesistenti.

Più nello specifico è necessario sottolineare che la teoria del multiverso si fonda su basi scientifiche e calcoli matematici, ad esempio complesse equazioni, osservazioni e misurazioni secondo cui tutte le realtà sovrapposte e simultanee, anche se microscopiche, sono destinate a collassare in un’unica realtà. Fra le concezioni più accreditate connesse alla teoria del multiverso non si possono tralasciare:

  • la teoria delle bolle, che considera il nostro universo come una bolla che è parte di un’infinita e continua riproduzione di nuovi universi a bolla;
  • la selezione naturale cosmologica, che è un modello il quale ipotizza la creazione di diversi universi, che costituirebbero un multiverso infinito, da un universo antecedente tramite una selezione casuale fondata sul calcolo delle probabilità dell’universo più idoneo alla vita intelligente;
  • l’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica che considera qualsiasi evento come un punto di diramazione dell’universo. Inoltre secondo tale interpretazione ogni osservazione o misurazione provocherebbe la frammentazione della realtà giustappunto in molti mondi in cui sono possibili risultati differenti;
  • il fine-tuned universe, la cui traduzione in italiano è universo perfezionato, in base al quale la vita nell’universo può nascere solo a determinate condizioni nel rispetto di costanti fisiche essenziali per la creazione e lo sviluppo della materia all’interno di un range ristretto.