Conoscere i pianeti: alla volta di Marte
Marte è uno dei pianeti del nostro sistema solare e quello più vicino alla Terra. Il pianeta ruota apparentemente su un'orbita ellittica e dista dal Sole circa 230 milioni di chilometri. Il suo periodo siderale, dato dal tempo che impiega il pianeta per girare intorno ai corpi fissi, in questo caso la stella rispettiva, è di 1,88 anni.
Mentre, rispetto al nostro pianeta presenta un periodo sinodico di 2 anni e 50 giorni circa. Quest'ultimo periodo, è molto soggettivo, in quanto misura il tempo che un corpo celeste impiega per ritornare alla sua posizione originaria, osservato però dalla nostra Terra.
Se parliamo invece della distanza che vi è tra Marte e la Terra non possiamo dare un valore definitivo, in quanto il numero cambia a seconda della posizione dei pianeti nella rispettiva orbita. In questo caso avremmo un valore che va dai 55 ai 101 km. La distanza tra i due si riduce notevolmente nei periodi delle opposizioni, ovvero quando la Terra si trova all’afelio,(massima distanza di un oggetto celeste del sistema solare dal Sole), e Marte al perielio, (minima distanza di un oggetto del sistema solare dal Sole).
Tuttavia, queste grandi opposizioni si manifestano ogni quindici/vent’anni e l’ultima ad essere registrata è stata quella del giugno 2001. Tornando un momento alle caratteristiche essenziali di questo pianeta, possiamo dire che Marte ha un diametro di oltre 6.000 chilometri ed una massa pari a 0,107 volte quella del nostro pianeta.
Il pianeta rosso compie un giro su se stesso in un tempo terrestre di 24 ore e 37 minuti, ed ha un’inclinazione del proprio equatore di 23°59′. Ciò provoca il susseguirsi di stagioni simili a quelle della Terra, ma con una durata leggermente superiore. Marte possiede due pianeti satelliti, ovvero Phobos e Deimos di dimensioni ovviamente più ridotte rispetto al pianeta rosso. I due satelliti furono scoperti per la prima volta dall’ astronomo americano A. Hall nel 1877.
Struttura morfologica
L’emisfero nord del pianeta è dominato da ampie distese e superfici per lo più frastagliate molto probabilmente dovute alla fuoriuscita di materiali interni subcrostali sedimentatisi col tempo. Per quanto riguarda le caratteristiche endogene del pianeta, si nota la presenza di rilievi di natura plutonica e vulcanica dall’imponenza notevole; fra questi spicca il monte Olympus, il maggiore finora scoperto, con un diametro di base di 570 km e 26 km di quota. Poi, vi è il monte Ascreus con un diametro base di 400 km e 20 di quota. Queste dimensioni inverosimili, lasciano evincere che si tratti di formazioni che sono andate alimentandosi per tempi molto lunghi, si parla di 100 milioni di anni addietro, prima di essere levigate dai classici movimenti tettonici.
Tuttavia, l’attività sismica del pianeta rosso sembra non essere stata così intensa nel tempo da permettere una significativa vulnerabilità delle croste. La crosta, invece, che ricopre l’emisfero sud o australe appare più antica e datata della boreale, in quanto sono numerosi i bacini e le aree di impatto meteoritico, soprattutto nell’area del bacino Hellas che ha un diametro di più di 2.000 km.
Appare evidente come i due emisferi presentino in realtà una differente storia geologica, ciò lo si deduce grosso modo in corrispondenza del margine che li unisce, caratterizzato da un importante sistema di fraglie e crepe o fratture che documentano un processo di lacerazione della superficie esterna vissuto dal pianeta rosso nel corso della sua esistenza. Tutto questo è evidenziato dal percorso della dorsale Tharsis con il complesso del Labyrinthus Noctis che dà sfogo ai canyon del Tithonius Chasma e del Coprates, profondi migliaia di metri e con una larghezza che raggiunge anche i 75 km. La crosta prosegue nella regione del Valles Marineris, una gigantesca crepa che si allunga per 5.000 km con 120 km di larghezza e profondità che sfiorano i 6.000 metri.
Le ricorrenti immagini provenienti da Marte hanno evidenziato la presenza di terreni di origine alluvionale sui quali compaiono tracce di possibili corsi d’acqua (i channels). Le stesse fotografie testimoniano che le regioni dei poli siano state interessate da fenomeni di glaciazione, con terreni composti dalla presenza di permafrost, una sorta di miscuglio di ghiaccio e sabbia.
Per quel che riguarda il suolo marziano si può dire che assomigli a quello di un deserto; il colore unico e dominante è il rosso che è dovuto alla presenza di ossidi di ferro. I robot della Nasa atterrati su Marte hanno provato la conformazione granulosa del terreno, simile in parte alla regolite della Luna, anch’essa ricca di crepe e superfici frastagliate.
Si crede che la formazione del pianeta rosso sia avvenuta circa 4 miliardi di anni e mezzo fa, a seguito dell’assemblamento di oggetti rocciosi primordiali, conosciuti con il termine di planetesimi, che si sono fusi e mescolati costituendo vari strati di terreno interni che hanno dato poi forma all’intero pianeta. Quindi, è molto diffusa tra gli astronomi l’opinione secondo la quale Marte possegga un nucleo interno inglobato da un mantello ed una crosta esterna. E sembra che questa crosta si trovi a circa 40-50 km di profondità, più a fondo della stessa crosta terrestre. Questa massa interna, che manca di un’entità fluida più esterna potrebbe essere la causa principale della mancanza di placche galleggianti, simili a quelle del nostro pianeta.
In realtà, il nucleo di Marte risulterebbe povero di elementi ferrosi, come il nichel ed il ferro, ed avrebbe una misura minore di 2.500 km di diametro. Ciò, unito alla mancanza di una parte esterna fusa, non genera nel pianeta rosso un campo magnetico significativo, come accade per la Terra, in quanto compromette il meccanismo a dinamo autoeccitata.
Meteorologia e clima del pianeta rosso
Il cielo di Marte, così come parte della sua atmosfera, risente indubbiamente delle violente tempeste di sabbia che colorano di rosso l’aria. A livello del suolo la temperatura, se paragonata con la nostra, è notevolmente più bassa, si passa dai -60° C nelle regioni interne fino ai -128° in quelle polari. Solo nelle regioni vicine all’equatore marziano la temperatura sale fino ai 30° C. L’atmosfera si compone principalmente di anidride carbonica 95%, ma anche di azoto biatomico ed argon in percentuali notevolmente minori, 2,7% ed 1,6% rispettivamente. Nonchè si registrano tracce di ossigeno, di monossido di carbonio, di cripton e xenon.
L’estensione delle calotte polari, provocata dai cambiamenti stagionali, comporta un raffreddamento globale dell’area del pianeta. Questa variazione alimenta le correnti atmosferiche che generano venti marziani di tipo ciclonico, così come dimostrano le immagini inviate dalle sonde presenti su Marte. Le correnti raggiungono tranquillamente i 200 km/h e sono la causa principale dell’erosione del pianeta rosso. Esse trasportano enormi quantità di sabbia che formano delle dune, da una regione all’altra del pianeta.
C’è inoltre da considerare che il pianeta abbia sperimentato un’evoluzione climatica nel corso dei secoli. Nel passato, sicuramente, il clima del pianeta non era come quello attuale. Si presume che anche Marte abbia sperimentato una specie di effetto serra che abbia caratterizzato il clima primitivo del pianeta rosso, garantendo una stabilità climatica in grado di consentire una seppur esigua circolazione di acqua, dunque possibili piogge, formazione di bacini fluviali e fenomeni di evaporazione.
Queste condizioni di equilibrio apparente, durarono, secondo gli studiosi, fino a quasi quattro miliardi di anni fa, quando si manifestò il progressivo indebolimento del manto di anidride carbonica, assorbito parzialmente dalle acque e dall’irradiazione solare. Il processo di indebolimento del manto protettivo di Co2, diede origine alla progressiva apparizione di escursioni termiche ed all’abbassamento della temperatura, causa del congelamento delle risorse d’acqua presenti negli strati superficiali del pianeta.
C’è acqua su Marte?
La presenza di acqua sul pianeta rosso è certa e non si tratta soltanto di tracce. La scoperta si deve grazie al lavoro della sonda Odyssey che ha effettuato dei rilevamenti sulla superficie di Marte.
Lo studioso William Boynton, dell’Università dell’Arizona, ha dichiarato che l’acqua presente sul pianeta non è poca, ma molto di più di quella che molte persone immaginano. Le “riserve” di acqua si troverebbero a circa un metro al di sotto della crosta marziana. La sonda Odyssey ha svolto un lavoro notevole, grazie ad uno spettrometro a raggi gamma ha scandagliato il sottosuolo in cerca della presenza di elementi chimici che compongano lo stesso. Ed oltre la presenza d’acqua, si è scoperta anche una notevole quantità di idrogeno. Tutto questo, a testimonianza del fatto che Marte nel passato sia stato profondamente diverso da quello che oggi conosciamo.
Gli scienziati della NASA, in un primo momento, credevano che il lavoro della sonda Odyssey sarebbe durato a lungo, invece, sono bastate solo poche settimane di analisi per la raccolta di dati importanti che hanno confermato la presenza di idrogeno e ghiaccio a circa un metro di profondità della crosta del pianeta rosso. I dati sono stati registrati, al momento, solo nella parte dell’emisfero meridionale di Marte, ma gli studiosi sono fiduciosi che non appena l’inverno nell’emisfero nord sarà finito, la raccolta di dati avverrà anche in quella regione, dalla quale si aspetta un’ulteriore conferma.
Ciò che affascina maggiormente, oltre alla presenza di acqua, e che ne è una naturale conseguenza per noi umani, è la possibilità della presenza di forme di vita su Marte. Gli scienziati del Johnson Space Center di Houston hanno analizzato recentemente un meteorite, probabilmente proveniente dal pianeta rosso. Al suo interno sono state scoperte delle lunghe catene di cristalli di magnetite, queste ultime secondo Imre Friedmann, ricercatore della Nasa, avrebbero un’origine biologica.
Le suddette catene potrebbero essere state formate solo da organismi viventi, perchè diversamente se fossero vissute fuori da un contesto “organico”, si sarebbero trasfromate in un blocco a causa del magnetismo. Ad esempio, sul nostro pianeta i batteri che producono magnetite, la avvolgono con una membrana particolare e Friedmann appare convinto di aver osservato nel residuo di meteorite delle tracce inequivocabili di una membrana fossilizzata. Secondo il ricercatore della NASA questi fenomeni avvengono solo attraverso un processo biologico.
L’astrobiologa Kathie Thomas Keprta ritiene che questo fenomeno scoperto dai ricercatori sia una prova schiacciante della presenza di vita su Marte, anche se avvenuta chissà quanto tempo addietro. Anche la studiosa sostiene che la magnetite viene solo ed esclusivamente formata dai batteri. Il singolo cristallo può essere stato formato da un solo batterio e questo batterio costituirebbe la forma di vita più ancestrale sino ad ora identificata. Alcuni studiosi hanno azzardato addirittura un’età di vita plausibile pari a 3,9 miliardi di anni fa.
Il cristallo oggetto di studio appartiene al meteorite marziano chiamato Allen Hills 84001 ritrovato sulle colline ghiacciate di Allen dell’Antartide ritrovato nel 1984 e risalente, secondo alcuni, a 4,6 milioni di anni fa. Il reperto fa parte dei sedici meteoriti ritrovati sulla terra e chimicamente associati al pianeta rosso. Gli studiosi credono che in un tempo remoto compreso tra i tredici ed i sedici miliardi di anni fa, un grosso asteroide precipitato su Marte abbia scosso ed alzato dal suolo marziano polvere e detriti e che questi abbiano girovagato nello spazio per molto tempo, prima di ricadere sul nostro pianeta come meteoriti 13 milioni di anni fa.
Nel 1996 alcuni ricercatori del Johnson Space Center già sostenevano che la roccia dei meteoriti conteneva tracce di vita microscopica, ma la loro tesi non convinse gran parte dei loro colleghi. La novità di Thomas -Keprta difende l’ipotesi del passato e ridà speranza a nuove forme di vita presenti su Marte. D’altronde, se un tempo è esistita veramente la vita, potrebbe esserci qualcosa ancora oggi.
La sonda Mars Express 2003
La sonda che gira intorno a Marte si occupa di studiare l’atmosfera del pianeta, oltre ad offrire una mappatura completa e grazie alla presenza di uno spettrometro, analizza il sottosuolo alla ricerca di acqua. Mars Express 2003 , inoltre, ha installato una piccolissima stazione metereologica denominata Beagle 2.
La sonda ha con sè un radar chiamato MARSIS (Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding), che scandaglia periodicamente i vari strati presenti nel sottosuolo, con la speranza di scoprire nella sua ricerca altri strati di acqua e ghiaccio. Il lavoro del radar vede come responsabili i professori Picardi e Seu dell’Università la Sapienza di Roma. Oltre al lavoro di MARSIS, alcuni astronomi italiani hanno già lanciato in orbita, approfittando di una missione NASA, l’evoluzione del radar MARSIS, ovvero SHARAD, che sta approfondendo e dando una mano al lavoro già svolto dal suo antecedente.
Lo scopo di tutte queste sonde ed i relativi radar è quello di riuscire a dare agli scienziati una mappatura ed uno studio geofisico completo del pianeta rosso. Ma forse e soprattutto, ciò che interessa di più è localizzare le regioni esatte dove la presenza d’acqua risulti più evidente per compiere delle eventuali trivellazioni.