Cos’è un pianeta nano
Il nostro Sistema Solare è un insieme di milioni di corpi celesti che orbitano attorno alla stella più importante, posta al suo centro. Massa, dimensioni, forme e caratteristiche specifiche fanno sì che ogni elemento vanti una definizione in base alla proprietà che maggiormente lo definiscono.
Il tentativo degli scienziati è quello di ordinare in maniera logica e coerente alcuni oggetti che differiscono ampiamente gli uni dagli altri: basti pensare alla conformazione di Giove – il pianeta il cui volume è 1300 volte quello terrestre e alle dimensioni dell’asteroide Duende, la cui superficie è inferiore a quella di un campo di calcio.
Insomma, gli esperti e gli appassionati che ogni giorno si occupano alle proprietà celesti hanno il compito di schematizzare milioni di prodotti presenti nel Sistema Solare. La definizione e la nominazione di tali elementi, quindi, è il primo passo per raggruppare con ordine la maggior parte dei corpi con cui quotidianamente essi si interfacciano: pianeti, asteroidi, comete e pianeti nani.
Di cosa si tratta quando si parla di pianeta nano, e per quale motivo gli studiosi hanno avuto il bisogno di creare una nuova categoria per definire un insieme di fenomeni celesti, che ancora non sono stati studiati in maniera approfondita?
Con pianeta nano si intende un oggetto che ruota attorno a una stella oppure a un sistema binario. Nonostante la sua massa sia sufficiente per garantire una conformazione sferica, però, la sua superficie non è ancora “pura”; esso presenta sulla propria fascia orbitale degli elementi di varia dimensione che non permettono di definirlo come semplice pianeta.
In questo breve articolo, quindi, abbiamo deciso di analizzare in maniera più approfondita le caratteristiche di tali corpi celesti al fine di comprenderne le peculiarità più importanti, i moderni studi in merito e le evoluzioni conoscitive degli scienziati che se ne sono occupati.
In primo luogo, quando si fa riferimento ad un corpo celeste, è importante determinare le sue specifiche storiche e fisiche, nonché l’evoluzione che esso ha subito per raggiungere la forma che ad oggi ne consente un tale studio.
Pianeta nano: di cosa si tratta? Quali sono i suoi caratteri peculiari?
Il pianeta nano, nonostante in nome che potrebbe tratte in inganno, non è necessariamente un corpo di piccole dimensioni. Non c’è alcun limite alla vastità di elementi astronomici che appartengono alla suddetta categoria, in quanto la sua definizione ha un’origine differente.
La sua classificazione scientifica è molto recente: è stata accolta solo nel 2006 dall’IAU (Internacional Astronomical Union – l’Unione Astronomica Internazionale) ed è stata arricchita dalla presenza di cinque membri studiati e trattati da diversi poli di ricerca presenti in tutto il mondo: Cerere, Haumea, Eris, Makemake e il più famoso Plutone.
Nonostante le discussioni e le polemiche che hanno attanagliato gli spiriti più conservatori del mondo astronomico contemporaneo, la categoria ha trovato la luce e tutt’ora rimane oggetto di infervorate discussioni provenienti dagli ambienti di maggiore spicco e competenza.
Prima di comprendere e studiare le accuse più comuni che vengono spesso rivolte ai pianeti nani e alla loro definizione, è bene partire da una prima forma di schematizzazione delle proprietà che ne hanno caratterizzato la creazione.
Un pianeta nano è un corpo celeste che orbita attorno al Sole, ha una massa sufficiente per raggiungere l’equilibrio idrostatico – che ne determina una conformazione quasi sferica – e non ha ripulito la sua orbita; inoltre, esso non deve essere un satellite.
Di conseguenza, gli addetti ai lavori avranno immediatamente riconosciuto la somiglianza della definizione, che ricalca da vicino i tratti peculiari di un comune pianeta. Anch’esso, infatti, ruota attorno al sole e presenta una gravità tale da vincere le forze corpo rigido che ne caratterizzano la forma. Di conseguenza, qual è la peculiarità di un pianeta nano, e cosa significa “non aver ripulito un’orbita”?
Pianeta nano: le ricerche e le critiche degli ultimi anni
La definizione di pianeta nano ha immediatamente sollevato perplessità e polemiche che non hanno permesso di trovare un punto d’accordo sulle caratteristiche base di cui tenere conto al momento della categorizzazione.
Si è spesso parlato di criteri fuorvianti e non oggettivi, nonché incapaci di chiarire l’effettiva misurabilità del valore sferoidale. In altre parole, nessun pianeta presenta un’orbita completamente “pulita”, e non è possibile creare una scala di valutazione inerente a un’ipotetica soglia obiettiva su quando un oggetto celeste è sferico o meno.
La questione, quindi, ha dovuto interfacciarsi da un lato con la necessità di creare una nuova classe di elementi astronomici, dall’altro con le feroci critiche di quanti tutt’oggi fanno fatica a comprendere la coerenza scientifica di una data definizione.
La principale debolezza che viene sollevata ogni volta che ci si confronta con la definizione di pianeta nano, sembra essere prevalentemente linguistica: l’erronea interpretazione che può essere fatta delle sue caratteristiche peculiari, infatti, rende difficile comprendere come sia possibile attribuire un significato quantitativo – e non solo qualitativo – ai quattro punti che la compongono.
Non a caso, l’11 Giugno 2008 il Comitato esecutivo dell’Unione Astronomica Internazionale – riunitosi ad Oslo – ha cercato di stabilire una prima forma di classificazione numerica all’equilibrio idrostatico necessario per la definizione di pianeta; il risultato ha portato alla creazione di una nuova categoria – i plutoidi – riferita ai pianeti nani transnettuniani. Da qui, il gruppo di corpi celesti ha visto l’introduzione di cinque componenti, già citati in precedenza.
Sebbene la lista non sia molto nutrita al giorno d’oggi, è anche vero che secondo i più recenti studi condotti in tema sono circa 200 i possibili candidati collocati negli angoli più remoti del Sistema Solare; la difficoltà di cogliere la conformazione di un pianeta nano, quindi, ne ha anche impedito la sua fortuna.
Ci sono molti oggetti transnettuniani con un diametro superiore a 400 km, cioè superiori al valore approssimativo che consente di parlare di una conformazione quasi sferica: Varuna, Quaoar e 2003EL 61 2005FY 9, fra i tanti. L’impedimento risiede nell’incapacità di sviluppare strumenti sufficientemente potenti per stimare la forma tondeggiante – o meno – di questi elementi celesti.
Data la lontananza, infatti, gli scienziati sono ancora alla ricerca di telescopi che siano in grado di raggiungere chilometraggi a cui finora non è possibile arrivare. Le ricerche più moderne, infine, hanno anche analizzato alcuni asteroidi che potrebbero entrare di diritto nella categoria di pianeti nani: Vesta, Pallas, e Hygiea, il secondo, terzo e quarto posto dopo gli asteroidi Cerere.
Pianeta nano: i tentativi di stabilire i criteri dei pianeti nani
Gli sforzi che hanno portato al primo tentativo di quantificare una dominanza gravitazionale in grado di delineare una scala di riferimento per la classificazione dei corpi celesti si deve ad Alan Stern ed Haron Levison nel 2000, ben prima della nascita della classe dei pianeti nani: i due studiosi cercarono di introdurre un parametro che potesse tener conto della massa del corpo celeste e dei suoi parametri orbitali.
Lo scopo era quello di trovare un valore da usare come discriminante per valutare la conformazione e la dimensione dei pianeti, nonché il loro grado di deviare un corpo minore nella loro orbita.
Il risultato venne recuperato a posteriori per cercare di chiarire la posizione dei pianeti nani da quanti si fecero promotori della nuova categorizzazione: fu l’astronomo uruguayano Julio Angel Fernandez a proporre una soluzione alternativa che prevedeva una definizione intermedia che venne usata poi come quella definitiva negli ambienti astronomici di maggior valore.
Cercando di determinare le caratteristiche coincidenti e similari di tali pianeti, inoltre, si giunse alla conclusione che – sebbene la lista dei 5 corpi celesti attualmente chiamati “nani” sia ricca di diversità – essi risultano non categorizzabili in alcun altro modo. Insomma, fu la necessità scientifica a determinare l’assunzione della tipologia di corpi celesti che abbiamo tratto oggi.
Il motivo?
Essi vennero inizialmente riconosciuti come semplici pianeti – nonostante le difformità rispetto alla definizione canonica del termine – e solo successivamente andarono a confluire nella tipologia di “pianeti nani” che tutt’ora viene adottata.
Plutone è il più grande dei cinque corpi celesti: scoperto nel 1930 e definito dapprima come pianeta orbitante attorno al Sole, nel 2006 cambiò il suo status a causa della sua orbita eccentrica, nonché dell’atmosfera che lo circonda, la quale sembra essere composta da metano.
Cerere – scoperto nel 1801 – ha una forma sferica e un nucleo apparentemente solido. La sua superficie è molto probabilmente composta da ghiaccio e vari minerali; Haumea, Eris e Makemake, infine, completarono la categoria di pianeti nani per le loro caratteristiche difficili da inquadrare sotto qualsiasi altra nomenclatura scientifica.
Il primo è stato scoperto nel 2003 ed è considerato uno dei corpi celesti più veloci del nostro Sistema Solare. La rotazione sul suo asse ha una durata media di circa 4 ore, mentre il suo manto esterno è composto da un nucleo fatto di rocce e ghiacci.
Esso, inoltre, presenta due satelliti che gli orbitano intorno: Namaka e Hi’aka. Il secondo pianeta nano è stato scoperto nel 2005 e ha una composizione chimica molto simile a quella di Plutone; il terzo – e ultimo – è stato trovato per la prima volta nel 2005 e ha ricevuto la nomea di pianeta nano solo nel 2008, a seguito di una serie di studi che ne hanno approfondito conformazione e proprietà.
In conclusione, sebbene per alcune caratteristiche possano essere assimilati al rango di pianeti veri e propri, Plutone, Cerere, Eris, Haumea e Makemake si contraddistinguono per proprietà che impediscono di generalizzare l’ambito astronomico di riferimento.
La scienza ha fatto passi da gigante al fine si trovare una categorizzazione rigorosa di tutti i suoi oggetti di studio: questo è il primo passo affinché ogni step che porti all’ampliamento di una conoscenza possa essere analizzato in relazione al sistema di studi di riferimento. Saper tracciare i legami fra tipologie di ricerca differenti, infatti, consente di dialogare e trovare teorie e scoperte comuni; in questo senso, i pianeti nani hanno rappresentato un progresso che – seppur molto discusso e ancora dibattuto negli ambienti di riferimento – permette comunque di comprendere le caratteristiche di corpi celesti fino ad’ora sconosciuti.