Espansione dell’universo: come avviene, velocità e fenomeni correlati
Quando di sera ti ritrovi a contemplare il cielo, magari stando disteso sulla spiaggia dove l’inquinamento luminoso è di solito al minimo, hai il piacere di ammirare le stelle che ti sembrano immobili, nella stessa posizione da migliaia e migliaia di anni.
Se qualcuno ti dicesse che in realtà l’universo è in espansione, faticheresti a crederci, visto che si sta parlando di spazi letteralmente infiniti e ancora oggi in gran parte ignoti. Eppure, è proprio così: l’universo si sta espandendo sin dal momento della sua nascita, ossia da circa 14 miliardi di anni e non si sta fermando, piuttosto è in forte accelerazione.
Cosa vuol dire che l’universo è in continua espansione?
I pianeti, i satelliti, le costellazioni, la materia oscura, le galassie, le polveri e i gas: tutto questo è l’universo, ossia la “vita” che abita quello spazio nero sopra la tua testa.
In realtà sarebbe meglio parlare di universo “osservabile”, che cioè comprende ogni entità o corpo celeste che interagisce con il pianeta Terra, che è il punto di osservazione da cui ogni ricercatore studia l’universo.
La parola espansione presuppone una situazione in divenire, come è in effetti grazie alla cosiddetta energia oscura: come suggerisce la terminologia, si conosce ancora ben poco di questa forza che porta l’universo a espandersi velocemente, contrastando la forza di gravità esercitata dalla materia, sia ordinaria che oscura.
Espansione dell’universo: è vero che l’universo è in continua espansione?
Ogni componente dell’universo non è statica come ti può sembrare osservando il cielo ma è in perpetuo movimento in quanto l’universo è in espansione sin dalla sua origine, ossia dal Big Bang avvenuto quasi 14 miliardi di anni fa.
Il concetto di espansione dell’universo si regge sulla Legge di Hubble, in base alla quale la velocità in base alla quale due corpi celesti si allontanano è proporzionale alla distanza tra essi. Ti starai chiedendo in base a cosa gli studiosi ipotizzino questo fenomeno: ebbene la risposta è insita nel Redshift e nello stesso Big Bang.
Quali sono le origini della teoria dell’espansione dell’universo?
Diresti mai che Albert Einstein ha sbagliato nei suoi studi matematici? Certamente no ma è in realtà è successo: lo scienziato sosteneva fermamente la staticità dell’universo e a chi gli faceva notare che, se così fosse sarebbe letteralmente collassato alla luce della forza di gravità, egli inventò la costante cosmologica, definita in seguito da lui stesso come un errore madornale.
Il primo a parlare di espansione dell’universo fu nel 1927 Georges Lemaître, il quale ipotizzò l’esistenza di un Big Bang originario, basandosi sulla Teoria della Relatività dello stesso Einstein.
I suoi studi saranno ripresi e perfezionati due anni dopo da Hubble, uno dei primi a utilizzare il telescopio Hooker a Los Angeles, all’epoca considerato potentissimo.
Qui elaborò quella che oggi è nota come Legge di Hubble in base alla quale due galassie tra loro vicine si muovono più lentamente rispetto a due più lontane: in poche parole la velocità di allontanamento tra due corpi è proporzionale alla distanza tra essi.
Espansione dell’universo: ecco come avviene e a quale velocità
Gli studi effettuati da Hubble nell’Osservatorio in cima al Monte Wilson hanno portato il fisico a ipotizzare un’espansione dell’universo vicina a un valore di 500 km al secondo per Megaparsec.
In realtà Hubble è stato fin troppo generoso perché, grazie agli attuali e modernissimi strumenti in possesso, si è stimata la velocità di espansione dell’universo a poco più di 67 km al secondo Megaparsec. Si tratta di un dato che sicuramente subirà delle revisioni in quanto Esa ( European Space Agency) e Nasa hanno, nel 2023, accertato una sensibile accelerazione dell’universo del 9% circa: gli astrofisici però non sanno ancora cosa si cela dietro a questo sorprendente fenomeno, da un coinvolgimento dell’energia oscura a quello di nuove particelle subatomiche.
Ma come avviene questa espansione? Per capire il fenomeno, immagina un palloncino sgonfio sul quale hai disegnato dei pallini: tutto è concentrato quasi su sé stesso, in uno spazio piccolo.
Se all’improvviso lo gonfi, la superficie si estende e i puntini, prima uniti, cominciano ad allontanarsi tra loro. Questo accade nell’Universo: all’inizio non esisteva alcun corpo celeste e la materia si trovava compressa in un’area dalla mostruosa concentrazione di energia, la quale ha portato poi a una sorta di esplosione o dilatazione della materia e all’allontanamento dei corpi celesti che man mano si sono formati, mossi dal cosiddetto Moto di Recessione.
Fenomeni correlati all’espansione dell’universo
Il Big Bang e il Redshift sono considerate le due prove più importanti a sostegno della tesi dell’espansione dell’universo. Vediamo, dunque, di che cosa stiamo parlando.
Big Bang
Molte volte avrai sentito parlare del Big Bang come fenomeno dal quale ha avuto origine l’universo e magari te lo sei immaginato come una vera esplosione scenografica.
In realtà è più corretto parlare di dilatazione della materia, con una quantità mostruosa di energia liberata che può essere facilmente captata con le moderne strumentazioni e chiamata “Radiazione Cosmica di Fondo”.
La Fase di Plank è quella in cui la materia era racchiusa in un volume denso e piccolo (la cosiddetta singolarità, per dirla con le parole di Stephen Hawking).
La Fase dell’Inflazione coincide con l’espansione dell’universo, che inizialmente è geometricamente piatto. Seguono poi le fasi del raffreddamento dell’universo e quella della materia, durante la quale si formano gluoni e quark che, con il continuo raffreddamento e l’azione della gravità, formano gli atomi, mettendo le basi per la nascita dei corpi celesti.
Queste fasi del Big Bang, che a te possono sembrare lunghe e quasi interminabili, sono in realtà avvenute in frazioni di secondo.
Redshift: uno dei fenomeni correlati all’espansione dell’universo
Il Redshift è un fenomeno che puoi capire più facilmente ricorrendo all’effetto Doppler: se tu osservatore ti allontani da una fonte di radiazioni, aumenta di conseguenza anche la lunghezza d’onda e la sorgente luminosa, vista attraverso uno spettro elettromagnetico, tende a muoversi verso sinistra, ossia verso il colore rosso.
Ecco spiegato il Redshift, che ha anche aiutato Hubble, ai tempi delle sue misurazioni dall’Osservatorio del Monte Wilson, osservando quelle galassie più vicine alla Via Lattea.